Maria Elisabetta Casellati è l’avvocato che fu sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi negli anni del caso Ruby, la ragazza presunta nipote del presidente egiziano dell’epoca Hosni Mubarak. E lei da fedelissima del Cavaliere difese questa tesi della parentela senza esitare. Delle due l’una: ha creduto davvero alla farsa egiziana montata ad arte da Silvio Berlusconi oppure ha contribuito con i tanti alfieri del berlusconismo al governo a nascondere la verità sui festini ad Arcore?
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Qualunque sia la risposta, Casellati avrebbe dovuto quantomeno chiedere scusa e ammettere l’errore. A meno che non creda tuttora che Ruby sia la nipote di Mubarak. E questo è un problema per la seconda carica dello stato figurarsi per la prima, cioè il presidente della Repubblica che dovrebbe rappresentarci nel mondo.
Casellati ha dimostrato di essere inadatta a rappresentare le istituzioni nella loro massima espressione anche in altre occasioni. Quando deflagrò il caso Metropol, la trattativa a Mosca tra l’uomo di Matteo Salvini e i russi per finanziare il partito con una partita di gasolio, un gruppo di senatori del Pd presentò diverse interrogazioni parlamentari sul caso. Casellati bloccò tutto. I senatori lamentarono questa immobilità della presidenza. Perché?, chiesero.
La risposta ufficiale della presidente del Senato faceva carta straccia dell’articolo 21 della Costituzione, del valore dell’informazione e del giornalismo, che le più alte cariche dello stato dovrebbero difendere strenuamente.
Casellati bollò l’inchiesta come «pettegolezzo giornalistico» e dunque non meritevole di essere affrontato in aula. Disse proprio così: «Perché il Senato non può essere luogo del dibattito sui pettegolezzi giornalistici. Non siamo in un luogo dove si può discutere di questioni che non hanno un fondamento probatorio… non possiamo ridurre questa assemblea alta a discorsi che emergono da cosiddette inchieste giornalistiche».
Casellati poteva informarsi meglio perché il lavoro giornalistico aveva già portato all’apertura di un fascicolo per corruzione internazionale presso la procura di Milano. Ma al di là di questo dettaglio, può chi si candida a presidente della Repubblica, massimo guardiano dei principi costituzionali, equiparare il giornalismo di inchiesta al pettegolezzo da bar solo per solidarietà con l’amico Matteo Salvini, che ai tempi del Papeete (scrive FIlippo Ceccarelli su Repubblica) le aveva promesso di farla «presidente»?
Le relazioni
La presidente non ha mai chiarito neppure il rapporto con Filippo Paradiso, il poliziotto amico dell’avvocato Piero Amara, l’ex legale di Eni travolto dalle inchieste per corruzione e celebre per aver parlato ai pm di una fantomatica loggi segreta chiamata Ungheria.
Dietro l’amicizia di Casellati con Paradiso (su questo Casellati era stata sentita dai pm di Roma come persona informata dei fatti) c’è il mondo delle nomine del Consiglio superiore della magistratura. Paradiso e Amara infatti spingevano affinché un loro complice, un giudice, avesse la nomina che sognava. E così è stato.
Casellati era all’epoca membro laico del Csm che deliberò la nomina del giudice amico dei corruttori. «È una grande donna, si è sempre battuta per me... non dimentico», è la frase del magistrato intercettata e agli atti dell’inchiesta su Amara e Paradiso. Il rapporto tra Paradiso era tale che andò a lavorare per un periodo anche al senato, chiamato dall’amica diventata presidente.
Casellati certo si è distinta per sobrietà durante la sua presidenza del senato. Spesso criticata per l’uso di risorse pubbliche, a partire dai costi dei suoi viaggi. Il quotidiano Repubblica ha raccontato qualche mese fa «di 124 voli di stato in un anno», altri giornali spiegarono come la presidente si facesse accompagnare dalla sua scorta anche all’interno del bar di palazzo Madama.
Per questo non stupisce che a differenza di altri suoi predecessori non abbia rifiutato quasi 300 mila euro di lavori per mettere in sicurezza il palazzo di famiglia nella centralissima via Euganea a Padova. Come abbiamo rivelato su Domani, si tratta di opere destinata a potenziare la sicurezza della villa, autorizzate dalla prefettura, anzi volute dal prefetto di allora quando Casellati si era da poco insediata.
Lei avrebbe potuto dire di no, come hanno fatto altri ex presidenti di Camera e Senato. Anche perché in quella casa torna solo nei weekend. Ma non lo ha fatto. Tanto paga lo stato. La pratica poi era in mano al ministero dell’Interno, all’epoca c’era Salvini ministro. Ancora Matteo e Elisabetta.
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