- Negli anni Sessanta i borghesi italiani sono stati spettatori impermeabili di fronte al cambiamento convulso di quell’epoca
- Oggi non c’è l’élite che ha guidato il paese nel dopoguerra e la spinta alla crescita è solo un gioco da play station dove la borghesia non fa un passo
- I borghesi rimangono immobili anche di fronte a un paese che è una macchina senza autista
Nel 1960 Anita Ekberg pose le sue gambe nelle acque della fontana di Trevi, l’anno dopo Rosalba Neri, bravissima attrice in voga in quegli anni, attraversò il sottoscala allagato di un povero parcheggiatore abusivo alla periferia di Roma.
La dolce vita raccontata dal maestro Fellini e la parodia filmata con capacità da Sergio Corbucci. Due momenti dell’Italia del boom che raccontano, a modo loro, la società dello sfascio dove l’esercito della borghesia sfiorisce giorno dopo giorno. Il ballo, l’alcol e la cocaina facilitano la decadenza di una generazione dove la terra vacilla come un sogno. Il sogno di far soldi, di arricchirsi lasciando alle classi povere solo qualche briciola. È il disegno della nostra società degli anni Sessanta con il tratto elegante di sceneggiatori di altissimo livello (Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Mario Guerra, Giovanni Grimaldi). La denuncia lucida di una generazione che avrebbe portato il nostro paese al terrorismo con l’illusione della crescita economica.
Indifferenti e privilegiati
L’Italia uscita dalla guerra si rimetteva in corsa grazie alla visione di un’élite che guiderà per alcuni anni la lenta trasformazione. Ma la crescita economica avviene senza regole e a vincere spesso sono i prepotenti e i malandrini. E così il nostro paese arrivò agli anni del terrorismo, alla caduta dell’impero Dc, ai governi del drive in, cambiando la visione del futuro, ma lasciando inalterato il sentire della borghesia. Come se fosse un mobile che resta sempre al suo posto all’angolo, malgrado i traslochi.
Ma chi è ‘sta borghesia? avrebbe chiesto il maresciallo De Sica all’attonita Tina Pica. Per Moravia era ipocrita e benpensante, attori e attrici della vita sociale, facili alle maschere ridicole e grottesche. Abbasso la borghesia, si gridava negli anni sessantottini. La borghesia è stata spettatrice indifferente dei movimenti di pensiero e dei cambiamenti, preoccupata soltanto di non perdere la possibilità di avere una casa al mare o in montagna e un buon estratto conto. Come dire: se non toccate i miei privilegi potete fare quello che volete. E così è stato. Fino a oggi.
La borghesia di oggi, quella sopravvissuta alla cocaina degli anni Sessanta, continua a ballare e a vivere la festa degli smidollati nella navigata bellezza del maestro Sorrentino, aiutato nella scrittura da Umberto Contarello. Non c’è il film parodia, ma ci pensa la televisione. Nel segno dei tempi. Esiste infatti una parodia televisiva del comico Checco Zalone. Il mondo raccontato da Sorrentino e da Zalone sembra una copia aggiornata di quello creato dal duo Fellini-Corbucci.
Oggi non c’è l’élite che ha guidato il paese nel dopoguerra e la spinta alla crescita è solo un gioco da play station dove la borghesia non fa un passo. Sta lì nella stanza vuota come il mobile degli anni Sessanta, sperando di non essere portata via, di rimanere.
I nostri mali nascono dal boom degli anni Sessanta. Perché quegli anni non sono stati esclusivamente un boom ma anche una palestra e un allenamento per creare pezzi di società senza fili conduttori e senza indirizzi, con l’unico obiettivo di fare soldi, possibilmente facili.
In quegli anni la lira veniva addirittura premiata e si mettevano le basi per migliorare la disoccupazione, superare la povertà ed l’analfabetismo. Vero ma a caso, senza regole e senza una struttura statale in grado di governare un processo così importante. È come se l’Italia avesse giocato a dadi con la società, dando vita a soluzioni di ogni genere. Non so leggere ma mi adeguo, amava dire Totò. Sembra la definizione sensata della borghesia contemporanea.
Quella che grida allo scandalo per qualche strapazzata ai giardini del palco di Sanremo e che se ne frega dei continui femminicidi, quella che fa finta di commuoversi ai bombardamenti sui cieli dell’Ucraina sperando che il prezzo del gas non salga troppo, quella che ha sempre creduto Berlusconi poco più che un ragazzaccio, quella che si commuove se i bimbi cantano con le ali degli angeli ma che si limita a dire poveretti ai morti per il disastro del terremoto, quella che ha sempre creduto l’anarchia una terra abitata da pochi nostalgici e che ora, per comodità politica, parla di esercito terroristico.
Nessuno al volante
Oggi il paese, dopo gli anni di pandemia, si trova a un bivio. L’errore di forzare una possibile ripresa, senza accompagnarla da un piano e una visione del futuro, è dietro l’angolo. La nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare e corre, corre senza una meta precisa. Solo la borghesia sta ferma e vede gli altri, i non borghesi, correre. Il vuoto pneumatico della politica, la mancanza di un’intellettualità diffusa e l’indifferenza fa il resto.
Negli anni Sessanta, malgrado ci fosse un’élite alla guida del processo di crescita, siamo arrivati in un attimo al terrorismo e alla Bustarella, un programma televisivo educativo e lungimirante che accolse tanti proseliti. Oggi c’è il deserto. La macchina che dovrebbe portarci a una migliore condizione non ha autista. Viaggia sola nella notte a fari spenti. Ci sarebbe la borghesia. Ma come al solito resterà a guardare. Qualcuno accenda i fari, per favore.
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