Inutile perdere tempo a lamentarsi di un’Europa debole dopo l’elezione di Donald Trump. Davanti ai colossi del mondo – Usa, Cina, Russia, India - l’Europa è una realtà frammentata di 27 stati, senza contare quelli fuori dall’Unione. È sempre stato così, non potrà mai essere diverso da così.

L’Europa ci tiene alla sua diversità, ogni stato e staterello europeo si è sentito (talvolta si sente ancora) il centro del mondo in un qualche momento della storia, ha città capitali che echeggiano tale presunta superiorità, possiede un orgoglio culturale smisurato, non accette nessuna reductio ad unum. È la grande difficoltà del processo di integrazione europea, almeno da dopo l’impero romano.

Le guerre europee per la supremazia continentale sono state le più devastanti della storia: prima e seconda guerra mondiale sono riuscite a contagiare il pianeta. Di cosa ci lamentiamo dunque se sappiamo che nessun europeo potrà mai cedere e che l’unità europea rimane molto difficile, non fosse che per distinzioni linguistiche e culturali?

L’Unione così com’è rappresenta già una specie di miracolo. Ci rimane di completare il mercato unico e l’unione bancaria, i soli strumenti che possono proteggere l’Europa dal caos del mondo. Servono ad emettere debito comune: la sola leva che può farci forti insieme, con buona pace dei tedeschi. Ma si tratta di una reazione solo difensiva.

Rimane la grande domanda: l’Europa, anche divisa, in passato ebbe l’ambizione di conquistare il mondo e di formattarlo con la sua cultura e le sue lingue. In parte ci è riuscita, al prezzo di tanto sfruttamento e di tanti orrori. Ma ora qual è la sua ambizione? Restare solo sulla difensiva è un po’ poco.

Per parafrasare Limes: a che serve oggi l’Europa?

La nuova visione americana

La domanda torna d’attualità con l’elezione di Donald Trump. Finché a Washington c’era Joe Biden e la vecchia élite democratica, non c’era da preoccuparsi troppo: era gente abituata all’Europa e che non aveva nemmeno una grande ambizione per gli stessi Stati Uniti. Tant’è che l’amministrazione uscente non è riuscita a risolvere la crisi ucraina e si è lasciata imporre quella a Gaza dall’Israele suprematista di Benjamin Netanyahu.

Ma oggi le cose cambiano: Trump dovrà dimostrare quali sono le sue ambizioni per un’America che non vuole lasciarsi declinare, magari in maniera scomposta ma certamente assertiva. Trump non guarderà in faccia a nessuno: l’Europa cosa potrà opporre alla nuova visione americana? Senza tale dialettica si dovrà ammettere che non esiste più un Occidente unito, ma solo dei pezzi di Occidente di diverso valore.

Continuerà ad esistere certamente l’Indopacifico anticinese che non è Occidente (almeno non tutto); continueranno a esserci i Cinque Occhi (Usa, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e Canada) ma anche questo non è Occidente (almeno non quello del dopo 1945). Manca l’Europa. Senza un disegno l’Europa sparisce: non basta essere un “grande mercato”. Ci vuole la politica, come dimostrano le iniziative (buone o cattive) di Cina, Russia e ora anche degli Stati Uniti.

Un’alleanza difensiva senza una direzione

Il mercato serve, è essenziale ma non basta. L’Europa ridotta a grande mercato è solo un’alleanza difensiva che non sa dove andare. Questo è il grave difetto delle sinistre e dei liberali europei che si sono affidati alla sola economia (e alla promessa di prosperità) dimettendo ambizioni e programmi politici, sulla scia di Bill Clinton (it’s the economy, stupid) e di Tony Blair.

Il social-liberismo porta alla dissoluzione e all’irrilevanza, non perché non sia moderato o dica cose sbagliate ma perché non ha contenuto politico. Gli americani lo hanno intuito affidandosi all’unico che (bene o male) prometteva qualcosa di diverso, hanno rifiutato l’elite arrogante del continuismo in un mondo che è già mutato.

Non si possono considerare contenuti politici di sostituzione le lotte progressiste per i diritti individuali (dall’aborto al wokismo): troppo poco, troppo leggero e soprattutto incomprensibile per chi vive il disorientamento e lo spaesamento contemporanei. Kamala Harris è sprofondata a causa di tale vuoto politico. Trump ha trionfato perché ha dimostrato di voler percorrere questa strada, anche se in maniera rozza.

Make America Great Again (che a noi europei sa tanto di risibile) in realtà significa: cerchiamo insieme una nuova ambizione per il nostro paese, che ci spinga tutti insieme oltre il presente. L’Europa invece guarda nel retrovisore, è nostalgica degli anni Sessanta, vorrebbe tornare indietro, cerca una grandezza perduta. Ci vuole un salto nel futuro: i valori ci sono, la forza economica anche, ma serve un impulso politico. Magari meno grossolano di quello americano, che è sempre stato molto primario e legato alla supremazia militare.

Inutile lamentarsi: dobbiamo fare uno sforzo collettivo che sia europeo, originale e generoso. Seguire gli Usa si ridurrebbe all’aumento delle spese militari, come già ammettono alcuni. Non è questa la via europea né ciò che serve al mondo. L’Europa non può continuare ad essere l’ancella delle guerre americane (o israeliane). L’Europa deve scrollarsi di dosso il passato e proporre qualcosa di più sofisticato, in cui si possano ritrovare i non europei, gli africani, gli asiatici, i latinoamericani.

Una visione che immagini il domani in maniera coraggiosa, in cui ci sia spazio per tutti e che non si riduca a essere soltanto l’ennesima battaglia per la supremazia globale. Ne abbiamo già viste troppe, tutte miseramente fallite. 

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