Si può fare a meno degli Usa? Ma forse la domanda dovrebbe essere: saremo costretti a fare a meno degli Usa? Non è una domanda peregrina. Quando Donald Trump venne eletto la prima volta nel 2016 accogliemmo la notizia come una stravaganza e un prodotto del caso con cui a volte gli Stati Uniti erano soliti stupirci, come quando elessero a presidente un vecchio attore di Hollywood, Ronald Reagan, comparsa di secondo piano in diversi film western.

Quando poi Trump venne sconfitto da Joe Biden con una larga partecipazione popolare al voto, pensammo che l’anomalia fosse stata superata. Invece dovemmo constatare che Biden, pur se con uno stile diverso, non modificò più di tanto le scelte principali di Trump specie in politica internazionale (rapporti con la Cina, con l’Iran e con la Russia) e nei confronti dei migranti, a testimonianza che certe scelte del suo predecessore erano di fatto diventate, purtroppo, patrimonio di una parte degli elettori americani e perciò difficili da contrastare.

In queste condizioni, era normale che, alle elezioni successive, gli elettori avrebbero scelto l’originale e non la copia. Sicché Trump ha vinto e dobbiamo farci una ragione che gli Usa non sono più quelli di una volta, ossia una democrazia inclusiva e aspirante a guidare un mondo dove prevalgono le libertà politiche ed economiche.

Dazi, arma spuntata

L’America di Trump è un paese che punta a massimizzare i vantaggi rispetto agli altri paesi utilizzando la sua forza economica, la disponibilità d’innovazione tecnologica ed eventualmente anche la forza militare per affermare il proprio dominio nei confronti degli altri paesi, siano essi alleati o avversari, ma con un’attenzione maggiore a favore degli avversari perché con essi occorre trovare compromessi, mentre gli alleati devono essere considerati sudditi obbedienti se non vogliono incorrere in sanzioni fatte di dazi e di misure di ritorsione.

Tuttavia, è da sottolineare come la minaccia dei dazi e delle ritorsioni sia ormai un’arma spuntata, sia perché essi possono essere aggirati, sia perché il mondo è ormai largo abbastanza e lo sviluppo ha toccato tanti paesi un tempo poveri, sicché è possibile sostituire, in tutto o in parte, il mercato degli Usa con quello di altri paesi.

Certo, ci sarebbero dei costi di transizione, ma alla fine si trova sempre una compensazione, come abbiamo visto in molti altri eventi similari del recente passato, sicché il danno provocato dai dazi si esaurisce presto per i paesi esportatori mentre permane negli Usa per i consumatori costretti a pagare tasse superiori per mantenere lo stesso standard di acquisti.

Il gioco dei facili consensi

D’altra parte, la stessa globalizzazione, scacciata dai nostri scenari per colpe mai dimostrate da parte di politici che l’hanno demonizzata per raccogliere facili consensi da parte delle maggioranze insoddisfatte, rientrerà presto a livello di blocchi di paesi. La pervasività degli scambi commerciali e di servizi è tale che nessun paese, per quanto grande, può ricorrere a soluzioni autarchiche.

Tanto più che siamo tutti uniti internazionalmente da una rete digitale che supera molte barriere doganali e spinge verso una uniformità di comportamenti e di consumi che rende i popoli della terra più omogenei e sempre più interdipendenti perché coinvolti in stili di vita comuni, malgrado le molte differenze ancora esistenti.

In queste condizioni, per i paesi europei si apre la possibilità/necessità di contare meno sugli Usa e di sottrarsi dalla posizione di sudditanza per assumere autonomia economica ma anche politica. La necessità di ammodernare i nostri sistemi di difesa e di integrarli per renderli più efficienti non può che andare di pari passo con la necessità di assumere una posizione più autonoma nel gioco politico internazionale.

Fino a ieri, come Europa, abbiamo barattato una minore spesa in armamenti con la cessione di sovranità agli Usa in campo militare, finendo per accettare una Nato a conduzione americana, benché presieduta da un europeo. Se dobbiamo riarmarci, è allora opportuno che riprendiamo anche la sovranità nella politica internazionale e nelle scelte militari, ciò che amplierebbe il gioco delle posizioni politiche a livello mondiale ed eviterebbe così la confrontazione bilaterale tra due blocchi che è sempre foriera di possibili tensioni e di deflagrazione di conflitti.

Con un’Europa capace di avere un ruolo autonomo nella politica internazionale, il mondo avrebbe un respiro più ampio e maggiori possibilità di contenere i conflitti. Potrebbe riaprirsi la strada per un disarmo complessivo, che rappresenta la sola garanzia per evitare future guerre. Sarebbe sempre un mondo diviso a blocchi, purtroppo, ma questa è la tendenza prevalente con cui dobbiamo fare i conti, almeno fin tanto che non si torni a comprendere che non ci sono soluzioni nazionali, ma che siamo tutti alle prese con problemi globali che necessitano una collaborazione mondiale che oggi appare difficile da rimettere in gioco.

© Riproduzione riservata