Meloni sa mentire, falsificare, omettere, sviare in maniera impareggiabile. Allora servirebbe proiettare in sovraimpressione i dati reali, in modo che facciano da controllo alle affermazioni delle due leader
Davvero dovremmo augurarci un confronto televisivo Schlein-Meloni come quelli che abbiamo più volte visto in questi anni, a partire dall’indimenticabile visione della giacca marrone di Occhetto alle prese con il Berlusconi che scendeva in campo? Magari sperando che vada meglio, dato che Schlein ricorre ai servigi di un armocromista?
Vedo le funzioni strategiche della cosa. Dopo aver rifiutato l’invito ad Atreju, Schlein non poteva negarsi ancora – avrebbe dato l’impressione di temere Meloni. Come la reazione piccata di Conte mostra, essere riconosciuta come capo dell’opposizione ha un valore evidente.
Questo tipo di confronti, peraltro, sono parte integrante della grammatica della politica contemporanea fatta di leadership personali. Evitarli verrebbe visto come segno di mancanza di coraggio e di disattenzione verso le aspettative ragionevoli degli elettori. Inoltre, come ha osservato Vitalba Azzollini su questo giornale, confronti di questo genere servono a realizzare il diritto degli elettori all’informazione e favorire la deliberazione democratica.
Saper mentire
Detto questo, però, sappiamo bene che una serie di caratteristiche del format e degli stili comunicativi di Meloni e Schlein possono vanificare tutti questi aspetti favorevoli. Come si è visto nella conferenza stampa di fine anno tenuta a inizio anno, se c’è una cosa che Meloni fa bene (forse l’unica cosa che fa bene) è tenere la scena, sintonizzandosi con le aspettative medie e l’umore diffuso del pubblico televisivo, che forse coincide in larga parte coi suoi elettori.
E Schlein ha avuto vari problemi nel fare lo stesso. Il rischio di assistere allo scontro impari fra la sedicente underdog vicina al popolo e la ragazza radical chic prodotto di élite distanti dalla realtà degli italiani è altissimo. Inoltre, abbiamo visto anche come Meloni sappia mentire, falsificare, omettere, sviare in maniera impareggiabile.
E sappiamo da tutti gli studi di retorica, comunicazione e dalle neuroscienze come una bugia detta bene, magari anche gradevole, che rimane lì, sospesa, senza un contraddittorio molto efficace, egualmente brillante e incisivo, penetri immediatamente nelle menti e nei discorsi, quasi più della verità.
Fact checking
La verità è complicata e sgradevole. Le bugie sono semplici e spesso sono quello che vogliamo sentirci dire. Allora, forse l’attenzione principale dovrebbe essere alla cornice del confronto, all’apparato retorico e situazionale entro il quale le due leader dovrebbero confrontarsi.
Bisogna andare al di là dell’ovvio: non è solo questione di tempi concessi a ciascuna, o di quale giornalista debba gestire il confronto (e che sia un giornalista donna è molto importante). Bisognerebbe assicurare un setting dove la piacevolezza retorica e la possibilità di sviare, fuorviare e mentire siano limitate al massimo. Ci vorrebbe un teatro dove la verità dei fatti emerga e sia la cornice della contrapposizione fra valori.
Non è semplice capire come allestire una situazione del genere. La prima tentazione è dire che dovrebbero essere le leader a esercitare reciprocamente questo tipo di freno, e che anzi è proprio questo che i cittadini dovrebbero vedere per soddisfare il proprio diritto all’informazione.
Ma questo lascia molto alle risorse anche di aggressività delle due leader e non è detto che ciò sia efficace o commendevole. Forse una sorta di panel di controllo potrebbe essere un’idea migliore.
Per esempio, sarebbe impossibile schierare dei fact checker, che magari senza interrompere, ma proiettando in sovraimpressione i dati reali, facciano da controllo alle affermazioni fattuali delle due leader? Vedere una delle due che mente o omette un dato e viene corretta in diretta: forse proprio a questo i cittadini hanno diritto.
Il problema principale non sono le opinioni e i valori, che vanno lasciati alla viva parola delle leader. Ma ormai la politica è anche, e forse in gran parte, questione di fatti e dati.
Impedire che tutto diventi un’opinione, che tutto diventi scelta di campo, e imporre che le scelte autenticamente politiche vengano espresse all’interno di una cornice fattuale e informativa oggettiva e condivisa è il minimo indispensabile per garantire il diritto all’informazione e per avere un confronto fra prospettive politiche e non il mero spettacolo di una contrapposizione personale e antropologica.
È quello che serve per avere un confronto politico razionale ed evitare che ci venga chiesto di credere che 2+2 fa 5, come a Winston in 1984.
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