Un tempo l’Italia aveva il fattore K. Oggi ha il fattore F. Negli anni Settanta, quando la crescita del PCI sembrava inarrestabile ed Enrico Berlinguer tesseva con Aldo Moro la politica del compromesso storico, gli intellettuali liberali si ponevano una domanda importante: «Possiamo fidarci della democraticità del PCI?». Questa domanda ha accompagnato la riflessione politologica per un decennio. E fu alla fine resa inutile dal rapimento a assassinio di Aldo Moro. Ma l’acribia con la quale i liberali si cimentarono nel fare le pulci al PCI non ha eguali nella storia del nostro paese.
Non è stata replicata con il Movimento Sociale Italiano prima (che in alcuni casi sostenne governi a guida DC, pur senza esprimere ministri) né con la sua costola poi, Fratelli d’Italia. Si potrebbe dire che, in questo caso i fatti hanno da soli imposto la legittimità. Silvio Berlusconi legittimò i neofascisti portandoli al governo sostenendo, con vanto, che grazie a lui avevano abbracciato i sacri principi della cultura dei diritti e del pluralismo. Berlusconi ha dato la patente di democratizzazione alla destra nera. E politologi e opinionisti liberali, inizialmente dubbiosi, si sono alla fine fidati della parola del tycoon. Il paradosso è che sulla graticola ci andò un PCI che mai governò, mentre non ci andò mai la destra che ha partecipato ai governi, per approdare nel 2022 a Palazzo Chigi.
Oggi, i nodi di quella fatticità irriflessiva vengono al pettine. L’Italia ha un governo la cui dimestichezza con i principi liberaldemocratici – i diritti fondamentali, lo stato di diritto e la divisione dei poteri – è gravemente insufficiente. Basta vedere la reazione del Presidente del Senato al declino elettorale del suo partito alle recenti elezioni amministrative: ha perso, dunque si devono cambiare le regole elettorali. Siamo sicuri che se perdessero le elezioni politiche non farebbero come Donald Trump nel 2021? La destra interpreta la democrazia come un percorso a senso unico: per vincere; mentre le elezioni impongono anche di accettare di perdere. Nonostante ciò, nessun allarme tra i moderati liberali, pronti anzi ad aiutare la riforma della Costituzione. Se non fosse per un fattore esterno – l’Unione Europea – nessuno nel bel paese si porrebbe il problema del peso del retaggio fascista, ovvero antidemocratico, presente nel partito di Meloni.
La vicenda scatenata dall’inchiesta di Fanpage completa il quadro, dimostrando come il melonismo ha una idea proprietaria dei diritti e delle funzioni pubbliche: le “loro” libertà sono sacre, non quelle di tutti e ciascuno. Confonde libertà con privilegio. E, soprattutto, ha un’idea balzana di partito politico. Ha detto Meloni, e i suoi intellettuali lo hanno ripetuto, che solo nei regimi dittatoriali i giornalisti cercano di svelare l’attività dei militanti di partito (come se nelle dittature ci fossero partiti e stampa libera). Lo ha ripetuto in un talkshow Alessandro Giuli, dichiarando che «il partito è un’associazione privata» e non può essere fatto oggetto di ricerche. Dimostrando di avere idee molto approssimative sia della funzione della stampa libera che dei partiti politici in una democrazia.
La stampa libera viene dai meloniani confusa con le forze dell’ordine che non devono, ovviamente, infiltrarsi nei partiti. Ma la stampa fa il proprio mestiere proprio quando cerca di informare i cittadini di tutto quel che può accrescere la loro conoscenza dei politici e dei partiti. Anche per questa ragione, le democrazie proibiscono società segrete. Circa la privatezza dei partiti: chi un po’ mastichi di scienza politica sa che nei paesi liberaldemocratici i partiti sono associazioni libere che svolgono una funzione pubblica, contribuendo alla scelte del personale politico, alla formazione dell’opinione, alla creazione della direzione politica di un paese. Essere associazioni privati (nel senso di non statali) non ne fa associazioni segrete: i partiti non sono come un’abitazione privata. Se le forze di polizia devono stare religiosamente fuori dalle sedi di partito, la stampa libera deve fare del suo meglio per cercare informazioni. Cara presidente, non confonda le forze repressive con la funzione della stampa. Questa confusione non è degna di chi governa un paese a democrazia costituzionale.
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