- Una cronista politica di Domani, Lisa Di Giuseppe, è stata umiliata e costretta ad allontanarsi dalla Camera dei deputati perché a una funzionaria non piaceva come era vestita.
- La signora riteneva che fosse inappropriato restare in parlamento con le spalle non sufficientemente coperte.
- Par di capire che nella cultura della Camera la presenza delle donne a Montecitorio non è questione di professione o ruolo, ma di decoro, quasi fossero arredi (nessun uomo verrebbe mai cacciato perché ha la cravatta mal abbinata), e che nei loro confronti ci si possano permettere abusi senza conseguenze.
Una cronista politica di Domani, Lisa Di Giuseppe, è stata umiliata e costretta ad allontanarsi dalla Camera dei deputati perché a una funzionaria non piaceva come era vestita. La signora riteneva che fosse inappropriato restare in parlamento con le spalle non sufficientemente coperte.
La funzionaria ha abusato del proprio potere: nessuna norma dell’ordinamento della Camera stabilisce come e quanto debbano essere vestite le donne.
Perché un dipendente di quel parlamento parlamento la cui autonomia organizzativa è protetta dalla Costituzione commette una simile bassezza?
Probabilmente la commessa pensava di rispettare una norma che, per quanto non scritta, è percepita come cogente all’interno del Parlamento.
Par di capire che nella cultura della Camera la presenza delle donne a Montecitorio non è questione di professione o ruolo, ma di decoro, quasi fossero arredi (nessun uomo verrebbe mai cacciato perché ha la cravatta mal abbinata), e che nei loro confronti ci si possano permettere abusi senza conseguenze.
Invece le conseguenze ci sono: una giornalista umiliata davanti ai colleghi e alle colleghe e il messaggio dato a tutta la stampa parlamentare, agli usceri, ai deputati, che, se sei donna, la Camera è un luogo potenzialmente pericoloso, dove rischi quantomeno la reputazione e dove le regole, se sei donna, non valgono.
Queste norme non scritte devono essere percepite come molto vincolanti se perfino una funzionaria donna si sente autorizzata o costretta a umiliare così un’altra donna.
L’altra conseguenza è aprire uno squarcio su come funzionano le istituzioni italiane: oltre a qualche vaga scusa, dalla Camera abbiamo ricevuto commenti su come era vestita la collega, quasi la colpa fosse sua.
Ognuno si veste come crede, finché la legge non glielo vieta. E nessuno, soprattutto se con la divisa delle istituzioni, può cacciare una giornalista dal parlamento senza ragioni fondate.
Nelle aziende si definisce corporate culture l’insieme di valori e priorità che vengono trasmesse ogni giorno dai vertici e dai colleghi.
Se la cultura aziendale è tossica, se ne deve assumere qualche responsabilità chi sta in alto, l’amministratore delegato. In questo caso il presidente della Camera, Roberto Fico, che dovrebbe scusarsi con la nostra giornalista e prendere provvedimenti.
Fico può limitarsi a sanzionare un comportamento oggettivamente scorretto e protervo di una funzionaria, oppure può interrogarsi su qual è la cultura dell’istituzione che guida da ormai quattro anni.
Le stesse domande dovrebbero farsele anche l’Associazione della stampa parlamentare (e la nostra categoria di giornalisti in generale) che troppo spesso accetta i limiti imposti dal potere su cui dovrebbe vigilare.
A forza di denunciare i limiti del politicamente corretto, in troppi si sono dimenticati che molte scorrettezze derivano dalle scelte, e dal cattivo esempio, della politica.
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