Bene, se qualcuno aveva ancora dei dubbi, ora è accontentato: abbiamo un governo esplicitamente e dichiaratamente razzista. Non ci sono più né se né ma. Dopo le celebri uscite di Lollobrigida sulla sostituzione etnica, le vergognose parole di Valditara, per cosa ha detto e dove lo ha detto, per la conferma di tutto questo sono arrivate infine le parole di Giorgia Meloni, che ribadisce il legame tra immigrazione e violenza sulle donne.

Non importa che i dati smentiscano questa becera retorica, che a uccidere la povera Giulia Cecchettin sia stato un suo compagno di università, che la maggior parte dei femminicidi avvenga tra le mura domestiche: non bisogna credere alla realtà, bisogna credere a cosa dicono loro. Cioè che esiste una relazione stretta tra la provenienza e un comportamento criminale.

Cosa significa tutto questo se non “razzializzare” le persone? È lo stesso principio su cui si costruisce ogni forma di razzismo: creare delle categorie attribuibili alla natura e proprio per questo ineludibili: non si sfugge al proprio destino naturale. Classificare le persone, per poi etichettarle ed escluderle. Sono nate così le varie forme di razzismo che hanno segnato la storia umana.

Ne hanno fatto le spese i neri, gli ebrei e gli zingari più di altri, ma oggi sono gli “stranieri” a essere icone di ogni male. Stranieri in senso lato però: perché nella bocca dei razzisti governativi “straniero” significa non occidentale. Una sorta di euro-razzismo, finalizzato a costruire l’immagine di una comunità “bianca” ricca di valori positivi, minacciata da un’orda barbarica, pronta a invadere il nostro sacro suolo e a violentare e uccidere le donne.

Nel suo diario dal titolo La lingua del Terzo Reich, il grande linguista Victor Klemperer racconta di come il regime nazista abbia poco a poco modificato la lingua tedesca, per asservirla ai suoi scopi. In tale modo ha anche asservito il pensiero, per manipolare le masse.

Klemperer non parla solo della lingua in sé, ma di tutta una serie di elementi che davano vita alla propaganda: «Il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente» scrive, ricordando come le parole possano essere come le piccole dosi di un veleno: «ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico».

Il male si annida nella normalità del quotidiano e nella metamorfosi delle parole, ci dice Klemperer, nel modo di parlare, di vestire, nei media che si usano. La lingua di regime è una lingua povera, monotona, fissata, ripetitiva, ma soprattutto sprezzante violenta. Solo con l’urlo può coprire la realtà. Per questo viene urlata.

Quando Matteo Salvini afferma in televisione che «“migrante” è un gerundio» siamo oltre la neolingua orwelliana, segnata da un lessico povero, da una sintassi elementare e traballante, fatta di slogan buoni per i talk show. Oltre perché al di là dell’ignoranza grammaticale – semmai “migrante” è un participio presente – è il disprezzo che trasuda da quelle parole, la riduzione a battuta, peraltro pessima, di tragedie umane che colpisce.

Spostando il discorso da un piano dialettico e razionale, in cui si può discutere, a un piano iperbolico e assoluto, svincolato da ogni prova reale, viene meno ogni possibilità di contraddittorio e questo, in un’epoca di media rapidi e fugaci, risulta vincente.

Grazie a questo infischiarsene di qualunque logica, schernendo chi tenta di portare avanti un ragionamento coerente, gli attori di questa politica sostengono che essa è l’effetto e non la causa della violenza razzista e xenofoba. È questo il vecchio/nuovo volto del razzismo 2.0.

© Riproduzione riservata