- Le infrastrutture, essendo “monopoli naturali”, è più efficiente siano pagate con soldi pubblici piuttosto che dagli utenti, per ragioni di efficienza. “Misurare” i risultati di efficienza è semplice: l’analisi costi-benefici valuta i risultati di benessere collettivo conseguito dagli investimenti infrastrutturali.
- Ora, in Italia tali analisi spesso non vengono fatte ex-ante, e mai ex-post.
- Sembra che allo Stato non interessino minimamente i risultati che consegue con la propria spesa, nemmeno al fine di migliorare le scelte future. Non misurare lascia il sospetto che le risorse pubbliche siano state sprecate, per esempio per obiettivi di consenso politico.
Ci sono due solidi motivi per mettere soldi pubblici nelle Ferrovie dello stato: la rete ferroviaria è un “monopolio naturale” (come tutte le infrastrutture di trasporto), e non si vuole far pagare agli utenti l’intero costo dei servizi di cui godono. Tuttavia, occorre misurare con la massima cura possibile i risultati che si ottengono con quei soldi.
Non valutare i risultati rende arbitrari quei trasferimenti pubblici, e rende legittimo l’uso del termine “sussidio” invece di quello di “corrispettivo” caro a tutti gli enti ferroviari, che tendono ovviamente a legittimare così i soldi che ricevono dai contribuenti: “corrispettivo” implicherebbe la misura di quel che si ottiene.
Ferrovie dello Stato riceve per gli investimenti infrastrutturali 7,3 miliardi, per i servizi regionali 2,7 miliardi, per ristori dagli effetti del Covid circa 1 miliardo, per i costi di esercizio delle infrastrutture circa 1 miliardo, per un totale di circa 12 miliardi. Questo a fronte di ricavi dagli utenti di circa 2,4 miliardi (1,6 dai passeggeri e 0,8 dalle merci). Tuttavia, assumiamo i ricavi da traffico di un anno pre-pandemia, pari a circa 4,8 miliardi, e escludiamo i ristori.
Ferrovie è dunque una società per azioni pubblica i cui ricavi da mercato non raggiungono il 50 per cento dei trasferimenti ricevuti. Come calcolato in L’ultimo treno (Paperfirst, 2020) tra 1990-2016 il totale dei trasferimenti pubblici netti ammonta a circa 450 miliardi.
Le infrastrutture, essendo “monopoli naturali”, è più efficiente siano pagate con soldi pubblici piuttosto che dagli utenti, per ragioni di efficienza. “Misurare” i risultati di efficienza è semplice: l’analisi costi-benefici (ACB) valuta i risultati di benessere collettivo conseguito dagli investimenti infrastrutturali (risparmi di tempo, benefici ambientali e di sicurezza, ecc.).
Ora, in Italia tali analisi spesso non vengono fatte ex-ante, ma neppure ex-post.
Sembra che allo Stato non interessino i risultati che consegue con la propria spesa, nemmeno al fine di migliorare le scelte future. Non misurare lascia il sospetto che le risorse pubbliche siano state sprecate, per esempio per obiettivi di consenso politico.
L’unico esempio di una ACB ex-post nota è quella fatta dal professor Paolo Beria del Politecnico di Milano per l’Alta Velocità Torino-Napoli: mostra risultati marginalmente positivi nel suo complesso, ma solo grazie al traffico generato dall’avvento della concorrenza di un secondo operatore, con dubbi sul risultato specifico delle tratte Milano-Torino e Roma-Napoli.
Tali analisi non solo dovrebbero essere sistematiche, obbligatorie e rese pubbliche, ma non dovrebbero certo essere affidate a Ferrovie, in oggettivo conflitto di interessi, come è invece prassi attuale anche per il Pnrr.
Quali obiettivi
La seconda motivazione dei trasferimenti pubblici alle ferrovie riguarda i servizi. La socialità qui si articola in due aspetti: obiettivi ambientali e obiettivi distributivi (analoghi a quelli dei trasporti pubblici urbani).
Misurare il conseguimento dei risultati ambientali sarebbe semplice: con gli strumenti attuali di simulazione modellizzata del traffico, ogni euro di sussidio che va ad abbassare le tariffe per gli utenti consente di valutare quanti utenti vengono sottratti a modi più inquinanti, e determinarne i benefici ambientali.
Questo consentirebbe utili confronti quantitativi con interventi ambientali in altri settori, o con diverse strategie di abbattimento delle emissioni nei trasporti (come elettrificazione dei veicoli stradali).
Emergerebbero probabilmente risultati molto positivi per il modo ferroviario in aree congestionate, e molto più dubbi in aree a bassa densità, dove l’alternativa di autobus ecologici potrebbe risultare vincente. Invece gli obiettivi distributivi sono certo più difficili da misurare, in quanto occorre valutare quali categorie sociali abbiano beneficiato della spesa, e in che misura.
Tuttavia, questa difficoltà è superabile con analisi anche solo campionarie, e comunque è irrinunciabile. Anche per poterne confrontare l’efficacia sociale rispetto a strumenti distributivi diversi. Comunque, anche per quanto concerne i servizi ferroviari, la valutazione dei risultati conseguiti non può certo essere affidata a Ferrovie.
Un soggetto pubblico indipendente per definizione, e con elevate capacità tecniche e conoscenza del settore esiste, ed è l’autorità di regolazione dei trasporti (Art), che può essere potenziato con una spesa ridotta e che può valutare ex-post i risultati conseguiti con investimenti e spese nei servizi.
Il bilancio di Ferrovie dello Stato dichiara anche profitti per 193 milioni di euro nel 2021. Quale senso economico possono avere profitti conseguiti a valle di trasferimenti superiori a due volte i ricavi da mercato? E’ evidente che tali profitti siano strettamente dipendenti dall’ammontare dei trasferimenti, e assai poco dal mercato. Mostrare profitti però aiuta a legittimare agli occhi dell’opinione pubblica flussi di spesa della cui efficacia manca ogni riscontro effettivo.
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