- Ho visto reazioni entusiastiche e reazioni scettiche all’idea di introdurre la filosofia negli istituti tecnici, presentata dall’attuale ministro della Pubblica istruzione. Non ho visto risposte filosofiche.
- La prima scoperta di Platone è l’eredità socratica del suo pensiero. Non ci sarebbe senza il riconoscimento dell’infinita eccedenza del vero sul poco che ne sappiamo: cioè del fatto che la nostra ignoranza non sarà mai colmata, e che nessuna presunta conoscenza è immune da revisione.
- Aiutarci a passare dallo stupore di stupidità allo stupore di meraviglia è il dono della filosofia. Migliorerà tutti i mestieri: ma soprattutto insegnerà a onorarli quanto meritano.
Ho visto reazioni entusiastiche e reazioni scettiche all’idea di introdurre la filosofia negli istituti tecnici, presentata dall’attuale ministro della Pubblica istruzione. Non ho visto risposte filosofiche. Forse mi sono sfuggite. Ne tento una. Platone intendeva la filosofia come modello educativo alternativo e superiore a quello pur grande della tragedia, perché non solo rappresenta i conflitti ultimi di valore quali sono, come fa la tragedia, ma instaura ponti infiniti di dialoghi, con ragioni e confutazioni, fra le anime: non più incantate, ciascuna al seguito del suo dio, per vivere come a quel dio piace, ma risvegliate alla questione di come sia giusto vivere, giusto in sé stesso, che piaccia o no agli dèi.
Questa è la scoperta della giustificazione, vale a dire dell’evidenza e delle ragioni, che si possono e si devono cercare per quello che si crede vero, o giusto (e anche contro, perché il confronto critico è la vita della mente). Questa è la prima scoperta di Platone, è l’eredità socratica del suo pensiero. Non ci sarebbe senza il riconoscimento dell’infinita eccedenza del vero sul poco che ne sappiamo: cioè del fatto che la nostra ignoranza non sarà mai colmata, e che nessuna presunta conoscenza è immune da revisione. Solo la consapevolezza della nostra ignoranza crescerà, ad ogni nuovo pezzettino di verità provvisoriamente acquisito alla nostra conoscenza. E anche questa è una scoperta della filosofia. Sono già due scoperte che andrebbero insegnate a tutti: o meglio, a ciascuno andrebbe insegnato a riscoprirle da sé. Effettivamente, per trasmetterle in questo modo – il solo adeguato al loro senso - ci vuole un filosofo. Ma uno bravo come Socrate.
Le essenze
Sì, sarebbe tempo di non ignorarle più queste scoperte, nell’oblio delle quali i tempi, periodicamente, si fanno bui sulla terra. Da quando la filosofia esiste, è data a ogni fede la possibilità di combattere non per uccidere né per morire, ma per mettersi alla prova d’ascolto delle ragioni altrui, cioè per prolungare l’amore di verità nella sua ricerca, facendo della discussione amichevole il modo della ricerca. In questa discussione avremo messo a rischio di morte, invece che la persona dell’avversario e la nostra, gli argomenti nostri, e quelli dell’avversario. Proprio qui un grande del Novecento, Karl Popper, vedeva la differenza fra Einstein e i gradi evolutivi inferiori della vita, ad esempio le amebe, che non possono aver torto senza morire.
Peccato che la maggior parte dei filosofi popolari, in questo paese, preferisca la tragica metafisica delle amebe.
Ma c’è qualcosa di più specifico che la filosofia possa offrire alla formazione tecnica e tecnologica? Eccome. Ci sono le essenze. Nessuno oggi, filosofi popolari compresi, sembra credere che ci siano, e tutte da scoprire. Che un albero, una casa, una città, un’istituzione, nella loro concretezza, manifestino un che di invariante che ne fa quello che sono, pur nelle stupefacenti variazioni dei singoli esemplari. Nessuno ci crede perché questa grande intuizione, che la fenomenologia ha ritrovato e che ha dischiuso un’infinità di nuovi campi di ricerca, viene del tutto fraintesa, come se pretendesse che basta afferrare una volta per tutte la definizione di una parola per catturare un’essenza. Allora sarebbe bell’e finita con la ricerca, con il lavoro di costruire modelli teorici e verifiche empiriche, con la fatica dell’imparare. E invece è vero proprio il contrario.
È precisamente attraversando, anche solo nell’immaginazione, i modi sbalorditivamente diversi che una casa ha di poter essere una casa, un’azione giusta di poter essere giusta, e così via, che noi possiamo indagare l’essenziale delle cose, chiederci che cos’è abitare o che cos’è giustizia. Una ricerca che non ha fine (né più né meno che la ricerca empirica), come non ha fine il concreto contenuto delle essenze. Chi avrebbe mai potuto immaginare che fosse essenzialmente una casa anche una fragile struttura di alberi e cordami, dove si alloggia, come diceva Eschilo dei marinai, al modo degli uccelli, entro nidi di corda?
Eppure eccola lì, che ha nome e cognome: Renzo Piano, modello di una casa in Nuova Caledonia. Ogni possibilità nuova è un nuovo pezzo d’essenza che viene alla luce, e va pensata, catturata in concetti, espressa in proposizioni vere – e progettata, costruita col talento delle mani. Vi siete mai chiesti perché Socrate fermava per strada gli artigiani, come risulta dai numerosi esempi di regole d’arte – queste espressioni dell’essenza delle cose – che troviamo nei dialoghi di Platone?
Lo stupore di meraviglia
La vita umana si affaccia a profondità indefinite, dovunque volgiamo lo guardo: e nulla o quasi afferriamo del senso e del funzionamento delle cose, a meno di dedicare una vita intera a ciascuna. Considera quest’ala d’aereo, che fende il cielo affidata all’esattezza dei calcoli di chi l’ha costruita, o l’universo spirituale racchiuso entro queste dodici battute di musica su YouTube. O il gioiellino tecnologico di questo smartphone, che realizza e anche spoetizza i sogni dell’infanzia.
E non ci sono solo essenze mute. Molte gridano le inderogabili esigenze che le cose per loro natura preziose, come i paesaggi, come le risorse, come le persone, pongono alle nostre pigre menti, perché rispondiamo loro adeguatamente, con diritto e forme di vita civile, ma anche con rimedi al dolore e ausilii alla fatica. Togliete alla realtà non solo l’essenza, ma il valore di cui le essenze risplendono, e con quello l’esigenza che pongono: e nulla più si opporrà all’arbitrio dei più forti, dei più rozzi, dei più ciechi fra noi. Dei più stupidi. Aiutarci a passare dallo stupore di stupidità allo stupore di meraviglia è il dono della filosofia. Migliorerà tutti i mestieri: ma soprattutto insegnerà a onorarli quanto meritano.
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