La riforma del fisco è stata colorata da molte promesse, sin dai primi passi della legge delega varata dal governo. I primi decreti di attuazione sembrano tuttavia tradire quelle promesse, svelando un disegno assai diverso da quello annunciato.

Al centro della riforma, nelle dichiarazioni dell’esecutivo, ci doveva essere il rafforzamento della fiducia reciproca tra fisco e cittadini. Le misure in corso di adozione vanno in tutt’altra direzione.

Sta prendendo forma, infatti, un modello di tassazione che pare puntare sull’esercizio di un’autorità refrattaria ai controlli più che su fiducia e consenso, che si avvale di un inedito ampliamento dei poteri della macchina fiscale e del surrettizio svuotamento degli organi che dovrebbero assicurare il corretto esercizio di tali poteri.

Il garante

Si pensi al Garante del contribuente. È stato istituito nel 2000 nell’ambito dello Statuto dei diritti dei contribuenti, che gli ha assegnato competenza su base regionale. Destinato ad intervenire in una fase dell’attività degli uffici fiscali in cui i giudici tributari non possono ancora essere invocati, nasceva proprio per consentire ai privati di denunciare “disfunzioni, irregolarità, scorrettezze o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria”.

Lo Statuto era stato approvato al culmine della riforma voluta da Vincenzo Visco. Lasciò in eredità un sistema equilibrato, fatto anche di tutele e diritti dei cittadini sottoposti ai controlli del fisco, ma nessuno ha mai pensato che, per questo, fosse un ministro che strizzava l’occhio agli evasori.

Ogni Garante regionale poteva, tra l’altro, promuovere l’annullamento delle pretese fiscali illegittime (la cosiddetta “autotutela”), segnalare le disfunzioni più gravi e persino promuovere l’avvio di procedimenti disciplinari a carico di funzionari fiscali inadempienti.

Non è stata, ad onor del vero, un’esperienza pienamente soddisfacente, o quanto meno non lo è stata in maniera uniforme: i Garanti hanno operato egregiamente in alcune Regioni, ad esempio in Lombardia, meno in altre. E dunque si rendeva necessaria una riforma.

L’Authority mancata

Stando alla legge delega, il Garante avrebbe dovuto essere promosso al rango di Authority nazionale. A prima vista un’iniziativa apprezzabile, perché la dimensione nazionale presuppone un ampliamento di poteri e conferisce uno status più indipendente. Consente, altresì, di superare le inefficienze locali esercitando con più autorevolezza il necessario controllo sulle Agenzie fiscali, che dalla loro istituzione ad oggi hanno accentrato prerogative sempre più ampie in assenza di efficaci contrappesi istituzionali.

Invece il decreto legislativo che istituisce il Garante nazionale, approvato in fase di esame preliminare il 23 ottobre scorso, tradisce le promesse. Non ci sarà l’ampliamento dei poteri indispensabile per poter valutare efficacemente, su base nazionale, la condotta delle Agenzie fiscali nei confronti dei contribuenti.

Il nuovo Garante sarà incardinato presso la stessa amministrazione su cui dovrebbe vigilare. La disciplina originaria ne assicurava l’indipendenza mediante la nomina da parte del Presidente della Corte di Giustizia Tributaria regionale.

D’ora innanzi sarà nominato dallo stesso Ministro dell’Economia e delle Finanze, che peraltro lo ospiterà presso le proprie sedi, dotandolo di strutture e personale sostanzialmente della medesima amministrazione sulla quale sarà chiamato ad esprimere le sue valutazioni. Insomma, un guazzabuglio di conflitti di interessi laddove occorrerebbero massima indipendenza e trasparenza.

Desta non poco stupore il fatto che un comunicato stampa del Consiglio dei Ministri abbia annunciato che il nuovo Garante avrà funzioni più ampie che in passato, perché invece gli vengono persino sottratti i poteri più significativi di cui erano dotati i Garanti regionali: non potrà più promuovere l’autotutela né tantomeno le iniziative disciplinari nei confronti dei funzionari dell’amministrazione.

Sopravvive una parte delle competenze originarie, di richiamo e formulazione di raccomandazioni, che però sono praticamente prive di incisività.

La maggior parte del tempo del nuovo Garante nazionale, in realtà, sarà assorbita dalla predisposizione di relazioni sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti: sarà chiamato a farne con cadenza annuale al Governo e al Parlamento e semestrale allo stesso Ministro dell’Economia.

Saranno inevitabilmente redatte dal personale del medesimo dicastero, così che il Garante, più che un’Authority, sarà una sorta di ventriloquo di quella stessa amministrazione della quale dovrebbe assicurare la funzionalità, l’efficacia e l’esercizio non arbitrario delle attribuzioni. Insomma, in capo al Garante non residuerà alcuna funzione di garanzia e mantenere la denominazione originaria, più che alimentare la fiducia dei contribuenti, rischia di tradirla, al pari delle promesse non mantenute.

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