- La delega fiscale presentata dal governo contiene l’ipotesi del “superamento” dell’Irap, vale a dire la sua soppressione.
- Storicamente, quindi, l’Irap è stata un formidabile strumento di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario italiano, realizzando anche una consistente forma di autonomia tributaria delle regioni e una solida base di finanziamento della sanità.
- Di imposte come l’Irap o simili ad essa avremo ancora bisogno in futuro: il principale problema che i sistemi fiscali europei dovranno affrontare nei prossimi anni è quello derivante da un prelievo troppo basato prevalentemente sui redditi da lavoro.
La delega fiscale presentata dal governo contiene l’ipotesi del “superamento” dell’Irap, vale a dire la sua soppressione. Si tratta di una decisione discutibile, anche se l’Irap attuale è ben lontano da quella che fu introdotta con la riforma del 1996-97, e che era contenuta in una delle 11 deleghe in cui quella riforma si articolava, una riforma organica che era stata resa necessaria dopo che, passati oltre 20 anni dalla riforma del 1973, era necessario ovviare alle molteplici distorsioni, incongruenze, disparità di trattamento che si erano prodotte nel corso degli anni.
Inoltre, la manovra di emergenza del governo Amato aveva fatto venir meno ogni logica nel sistema tributario italiano che doveva anche fare i conti col nuovo contesto creato dalla globalizzazione, dalle liberalizzazioni, dalle deregolamentazioni e dalla crescente concorrenza fiscale tra Paesi.
A cosa serviva
Era necessaria quindi una riforma che mantenesse il gettito, ma che al tempo stesso ampliasse le basi imponibili, riducesse le aliquote formali e le possibilità di elusione, ristabilisse una accettabile parità di trattamento tra le diverse tipologie di reddito, riducesse il costo del lavoro (contributi sociali), aumentasse l’imposizione indiretta e diminuisse l’evasione.
In tale contesto, l’Irap svolse un ruolo decisivo sostituendo con un’aliquota di solo il 4,25 per cento l’Ilor che colpiva i profitti col 16,2 per cento, i contributi sanitari (10,6 per cento), la tassa sulla salute sui lavoratori autonomi, l’imposta patrimoniale sulle imprese dello 0,75 per cento (equivalente ad un ulteriore prelievo sui profitti del 5-10 per cento), più una serie di tributi minori.
Per un errore nelle stime, invece della parità di gettito prevista, l’imposta provocò una perdita di ben 13.000 miliardi (recuperati grazie ad un contestuale recupero di evasione), sicchè le imprese realizzarono un consistente sgravio tributario.
Storicamente, quindi, l’Irap è stata un formidabile strumento di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario italiano, realizzando anche una consistente forma di autonomia tributaria delle regioni e una solida base di finanziamento della sanità.
Con la fiscalizzazione dei contributi sanitari l’Irap contribuì alla riduzione dei costi del lavoro perseguita anche con l’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva e la contestuale soppressione di altri contributi sociali, dando così un contributo alla competitività delle nostre esportazioni e alla ricomposizione della struttura delle entrate in Italia che da allora è diventata più simile a quella degli altri sistemi fiscali europei.
Prima della riforma del 1996, infatti, i contributi sociali rappresentavano il 15 per cento del Pil e le imposte indirette l’11,8 per cento,, dopo la riforma il peso dei contributi si ridusse al 12,7 per cento e quello delle imposte indirette salì al 14,5 per cento.
Troppi nemici
Ciò nonostante, l’Irap stata sistematicamente criticata e contestata in Italia, soprattutto dalla Confindustria e dalla destra. Perciò sorprende il sostegno alla sua abolizione che è giunto dal segretario del Pd Enrico Letta e dal suo vice Peppe Provenzano. Anche perché le poche risorse disponibili dovrebbero essere concentrate sulla riduzione dell’Irpef.
Peraltro, di imposte come l’Irap o simili ad essa avremo ancora bisogno in futuro dal momento che il principale problema che i sistemi fiscali europei dovranno affrontare nei prossimi anni è quello derivante da un prelievo basato prevalentemente sui redditi da lavoro (imposte sul reddito e contributi sociali), mentre la rilevanza di questi redditi rispetto al Pil si è drasticamente ridotta negli ultimi decenni passando dal 65-70 per cento degli anni Ottanta del Novecento a meno del 50 per cento di oggi.
Ciò significa che dovremo procedere ad una sostanziosa fiscalizzazione dei contributi sociali, dal momento che le modeste riduzioni delle imposte sul reddito non sembrano sufficienti ad affrontare il problema del cuneo fiscale. Ciò è stato sottolineato anche dalla Commissione Europea, e quindi, oltre ad imposte ecologiche, imposte patrimoniali, ecc., avremo bisogno anche di prelievi ad amplissima base imponibile, come l’Irap, appunto.
Inoltre, se per finanziare l’eliminazione della imposta si volesse aumentare l’aliquota dell’Ires, si farebbe un danno ulteriore, in quanto la concorrenza fiscale tra imprese di Stati diversi avviene al margine, non ìn base al livello assoluto dell’imposizione, ma a quello delle aliquote, e quindi le mostre imprese sarebbero danneggiate nella concorrenza internazionale.
Infine l’Irap, anche nella forma attuale ridotta, svolge un ruolo importante nella tassazione delle imprese essendo neutrale rispetto alle fonti di finanziamento, dal momento che anche gli interessi passivi vengono tassati. Un aumento dell’aliquota dell’Ires invece, aumenterebbe l’incentivo delle imprese a finanziarsi con debito piuttosto che con capitale proprio contribuendo ad indebolire la struttura del nostro apparato produttivo.
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