A quindici giorni dalle giornate spese a vuoto per l’elezione del presidente della Repubblica, e a pochi giorni dal messaggio del presidente alle camere, c’è un tentativo maldestro ma diffuso di sminuire la rielezione di Mattarella degradandola a un’impossibilità di trovare una soluzione ordinaria. Si è dovuto, è la versione corrente, fare ricorso, detto con termine irriverente, all’usato sicuro.
Si evita così l’approfondimento della ragione dell’impossibilità di aver trovato una soluzione secondo i canoni costituzionali. Contemporaneamente si cerca di sminuire la portata del messaggio del presidente declassandolo da programma costituzionale, da attuare costantemente nel pieno rispetto della democrazia parlamentare, a “agenda”.
L’agenda, dice il vocabolario, è un elenco di argomenti da trattare, non un’indicazione armonica di interventi che la Costituzione impone in tutta la sua prima parte. I protagonisti di quelle giornate non vogliono dire qual era il progetto politico.
Abbiamo assistito alla presentazione di candidati di plastica sfornati e poi annullati. Il candidato vero, quello che doveva sorgere da queste difficoltà, era in ombra. Era il presidente del Consiglio, che aveva di fatto organizzato la sua candidatura, del resto poi ha spiegato che se lui vuole un posto “se lo cerca da sé”.
Siamo a una battuta di arresto, ma non all’eliminazione di un rischio: c’è un partito trasversale a tutti i partiti, che sbrigativamente chiamiamo “il partito di Draghi”, di chi ritiene che le difficoltà nelle società complesse vadano superate attraverso lo svuotamento del funzionamento delle istituzioni democratiche. Si tratta di una tendenza eversiva, sempre presente nella società italiana. Il golpe Borghese, absit iniura verbis, cos’era?
Era l’idea, all’inizio degli anni Settanta, che le difficoltà andavano superate attraverso lo svuotamento delle istituzioni democratiche e la sostituzione autoritaria. Anche allora, nel giro di tre ore, partì l’ordine di attivare l’eversione e di sospenderla. Il paragone è crudo e crudele, ma anche stavolta è avvenuto qualcosa che ha sospeso la strategia di far marcire per inconcludenza l’assemblea per trovare la soluzione che avrebbe comportato una oggettiva identificazione del potere di garanzia del presidente della Repubblica con il potere di governo.
Non escluderei che si sia fatto indietro anche il protagonista. I partiti non hanno fatto i conti con il disastroso insuccesso di tutte le nomenclature, e con il partito trasversale dell’involuzione. Il messaggio di Mattarella non è un’agenda ma un richiamo forte a un ritorno al ruolo costituzionale dei poteri istituzionali, in primis quello dei partiti.
Ma i partiti hanno una scarsa vita democratica interna, basti vedere ciò che è avvenuto nei M5s con l’intervento della magistratura di fronte alla violazione di regole interne. Alla Costituente vi fu un dibattito sull’articolo 49. Fu Aldo Moro a sostenere che bisognava introdurre nella Carta il principio che la vita interna dei partiti debba essere regolata secondo metodi democratici.
I giorni del rinnovo del Colle avevano come presupposto la sperimentazione della ineleggibilità di qualsiasi presidente per via ordinaria e della elezione di un presidente in stato di necessità. È il mal sottile della soluzione autoritaria, e preesiste ai personaggi che incarnano il momento della involuzione; quello che chiamiamo oggi draghismo preesiste a Draghi.
Ed è un fenomeno profondo, che ritornerà. I partiti devono oggi, non domani, affrontare la difficoltà reale in cui vivono. Confrontandosi con le tendenze antidemocratiche che sono al proprio interno. Non servono regolamenti di conti tra dirigenze fallite, ma la ricerca dell’anima democratica, condizione necessaria e indispensabile per vivere in libertà.
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