- Se si prendono in considerazione il quasi milione di voti affluiti sulle liste di Reconquête! (4,24 per cento), l’1,17 dell’estrema sinistra e l’1,1 della destra sovranista, se ne ricava che oltre la metà dei votanti ha sostenuto candidati che fanno di una netta opposizione a Macron la loro bandiera.
- Ciononostante, gli istituti di sondaggio concordano nel prevedere che domenica prossima i sostenitori del presidente conquisteranno una larga maggioranza di seggi, che potrebbe addirittura essere assoluta.
- L’alleanza di sinistra se ne vedrà assegnare fra 150 e 190 (sui 577 totali) e la destra moderata fra 50 e 80.
Da quindici anni a questa parte, promettere un cambiamento parziale del sistema elettorale, mediante l’introduzione di una quota di seggi assegnata in forma proporzionale, è diventata un’abitudine dei candidati alla presidenza della Repubblica francese.
Il primo ad avanzare l’ipotesi, e ad assicurare che l’avrebbe concretizzata non appena salito all’Eliseo, fu Nicolas Sarkozy nel 2007. Lo seguì a ruota Francois Hollande nel 2012.
Emmanuel Macron ha ribadito il proposito per ben due volte, cinque anni fa e di nuovo nella campagna che lo ha portato alla riconferma. Finora, però, alle parole non sono mai seguiti i fatti.
Il motivo di questi voltafaccia si è reso per l’ennesima volta evidente quando non stati pubblicati i risultati del primo turno dell’elezione dell’Assemblée nationale.
La radiografia dei dati disegna infatti una situazione che per l’attuale presidente parrebbe, a chi non conosce i meccanismi del sistema francese, quantomeno intricata.
L’insieme delle liste che lo sostengono ha raccolto il 25,75 per cento dei suffragi espressi, superando per l’inezia di 21.442 voti la Nupes, coalizione delle forze di sinistra, mentre il Rassemblement national ho toccato il suo record con il 18,68 per cento e i Républicains si sono attestati, in grande flessione sul 10,42.
Se si prendono in considerazione il quasi milione di voti affluiti sulle liste di Reconquête! (4,24 per cento), l’1,17 dell’estrema sinistra e l’1,1 della destra sovranista, e senza considerare altre piccole isole del frastagliato arcipelago elettorale, se ne ricava che oltre la metà dei votanti ha sostenuto candidati che fanno di una netta opposizione a Macron la loro bandiera.
Ciononostante, gli istituti di sondaggio concordano nel prevedere che domenica prossima i sostenitori del presidente conquisteranno una larga maggioranza di seggi, che potrebbe addirittura essere assoluta, l’alleanza di sinistra se ne vedrà assegnare fra 150 e 190 (sui 577 totali) e la destra moderata fra 50 e 80.
Quanto al partito di Marine Le Pen, c’è chi ipotizza una forchetta 5-20 e chi si spinge a pronosticarne fra 20 e 45. La fotografia della prossima Camera non corrisponderà quindi affatto alle preferenze spontanee espresse dei francesi domenica scorsa.
Effetto doppio turno
A fungere da correttivo sarà, come sempre, il meccanismo del doppio turno, con il suo seguito di eliminazioni, desistenze (pochissime, per la verità, questa volta), convergenze, consegne di voto, appelli.
Torneranno in auge i richiami a sbarrare la strada ai nemici, i toni emotivi di denuncia di presunte minacce alla libertà, alla democrazia o alla stabilità e, come spesso è accaduto in passato, a scapitarne saranno soprattutto le formazioni di destra.
Già lo si è visto con le drastiche prese di posizione di portavoce macronisti che hanno intimato ai simpatizzanti privati di propri candidati al ballottaggio di non dare «neppure un voto al Rassemblement national», come sempre etichettato come estrema destra.
Il 19 giugno, però, per gli elettori moderati le cose saranno piuttosto complicate, perché in 59 casi si troveranno a dover scegliere tra un candidato Nupes, spesso di sinistra radicale, e un lepenista.
Come ha fatto notare il politologo di SciencesPo Dominique Reynié, questa volta per molti di loro sarà difficile accettare la logica del “fronte repubblicano” e scartare automaticamente l’ipotesi del voto al RN.
Che tuttavia, pur essendo giunto in testa in 110 circoscrizioni rischia, come si è visto, di finire sconfitto almeno in tre quarti di esse e di perdere anche nelle altre 98 in cui sarà presente.
Penalizzati gli estremi
La logica del doppio turno è infatti quella di penalizzare sistematicamente le ali estreme, in primis quelle incapaci di coalizzarsi, e favorire le formazioni centriste: l’esatto opposto di quanto accade con il sistema proporzionale.
Consapevole di questa situazione, buona parte dell’elettorato di protesta rinuncia già in partenza a recarsi alle urne, penalizzando le liste per cui parteggerebbe: lo scarto fra i risultati di Marine Le Pen ed Eric Zemmour al primo turno della presidenziale (nel complesso, più di 7 punti persi in meno di due mesi) ne è l’ennesima conferma.
Il panorama della politica francese, che nelle cartografie elettorali pubblicate ieri sui quotidiani transalpini lascia individuare tre blocchi di proporzioni quasi identiche (e, se si collocassero i Républicains su questo versante, con uno sbilanciamento verso destra), si tradurrà quindi, con ogni probabilità, in un bipolarismo tra sinistra e centrosinistra, con quest’ultimo che, in caso di mancato raggiungimento dei desiderati 289 deputati da parte di Ensemble, potrebbe spostarsi più al centro chiedendo – ed ottenendo – il sostegno degli eletti Républicains.
Comunque le si rigiri, le cifre uscite dalle urne del 12 giugno indicano perciò un altro stop a quel processo di “destrizzazione” della Francia che le polemiche culturali danno, da tempo, per un dato scontato e che il passo di avanti di Marine Le Pen alla presidenziale era parsa poter parzialmente tradurre sul piano politico.
Il problema della destra
Se anche ottenesse – e non sarà facile – più di 30 deputati, il Rassemblement national faticherà infatti ad uscire dalla marginalità, e sarà come sempre scavalcato dalla destra “molle”, molto più radicata sul territorio e capace di mobilitare a sostegno dei propri candidati la grande quantità di sindaci ed eletti locali – municipali, dipartimentali e regionali – di cui dispone.
Nel contempo, la sua speranza di sbarazzarsi del fastidioso rivale Zemmour non sembra destinata ad essere, per il momento, esaudita. Pur di fronte allo smacco del leader, eliminato nel collegio di Saint-Tropez, e allo spinoso dilemma dei suoi candidati (tutti falciati al primo turno) sul “che fare?” nelle 208 circoscrizioni in cui un lepenista si batterà per il successo, con i 964.865 voti raccolti, grazie alla legge che assegna 1,40 euro per ogni voto alle liste per formare i candidati alle future eventuali incombenze istituzionali, il partito potrà contare su un tesoretto di 1.350.000 euro all’anno per cinque anni.
Una cifra più che sufficiente per indurre a non chiudere bottega anche qualora l’ex polemista decidesse – ipotesi tutt’altro che peregrina – di ritornare a «difendere la Francia dal suicidio» nelle vecchie vesti di surriscaldatore delle platee televisive piuttosto che in quelle di professionista della politica, che gli stanno visibilmente troppo strette.
Tanto più che, nei quadri di vertice, Reconquête!, malgrado i propositi ufficialmente declamati in ogni occasione, è composta soprattutto da ex dissidenti e oppositori di Marine Le Pen all’interno del Front national, che fanno della lotta alla figlia del nonagenario fondatore del partito della fiamma una ragione di vita (politica).
Pur con l’incognita del comportamento che l’ala destra dei Républicains terrebbe di fronte ad una decisione delle istanze direttive del partito di assicurare al governo di Élisabeth Borne, voluto da Macron, la necessaria maggioranza parlamentare, la strategia di sdemonizzazione tenacemente perseguita da Marine ormai da un decennio continua perciò a segnare il passo.
Frutta nuovi consensi – domenica, un balzo del 42 per cento (4.24. 616 voti contro i 2.990.454 di cinque anni fa), dopo le cifre notevoli della presidenziale – ma non riesce a tradurre integralmente il consenso personale tributato alla leader, soprattutto dagli strati economicamente più sfavoriti della società, in sostegno politico al suo partito, che soffre di un’acuta destrutturazione organizzative, letale nelle competizioni uninominali, dove la prossimità fra candidato ed elettori è essenziale.
Nel contempo lo svuotamento ideologico del FN/RN alimenta, come si è visto, una concorrenza che non è più quella dello zero virgola dei gruppuscoli estremisti ma condensa attorno a un outsider come Zemmour un’area di dimensioni non trascurabili.
Il tappo Marine
Se i lepenisti toccheranno la punta alta della forbice dei sondaggi, riusciranno a smuovere lo stallo? C’è di che dubitarne, in assenza di una figura di raccordo che, facendo fare un passo di lato a Marine, possa gettare le basi di un’alleanza futura fra conservatori, sovranisti e populisti, almeno attorno ai temi di comune preoccupazione – immigrazione e islamizzazione innanzitutto. Marion Maréchal, speravano in molti, sarebbe stata l’unica capace di realizzare il miracolo.
Ma la sua conversione allo zemmourismo, e l’asprezza delle polemiche con la zia, ha rotto il sogno. E riaperto la strada agli incubi della perdurante ininfluenza di un’area su cui pure convergono le preferenze di un terzo della società francese,
© Riproduzione riservata