- Dal G7 delle scorse settimane è emerso un occidente più unito. Con alcuni punti critici, però.
- Resta da gestire il tema dei tedeschi. La Germania in questi ultimi vent’anni è molto cambiata e in particolare la sua ricchezza è divenuta enorme. Mediante il suo potere economico la Germania ha cambiato la cartina geopolitica d’Europa: la questione del raddoppio del gasdotto Nord Stream assieme alla Russia l’ha messa in rotta di collisione con gli Usa e nulla l’ha fatta recedere.
- La nuova politica americana che Biden ora sta introducendo tiene conto dei desiderata tedeschi: non rompere con Mosca malgrado tutto (cioè malgrado Ucraina e Crimea).
Dopo il G7 e il vertice Biden-Putin si apre uno spiraglio nella politica occidentale. Il nuovo inizio nelle relazioni Europa-Usa si lega alla ricerca di una nuova relazione con la Russia, riconnettendo fili strappati da lungo tempo. Anche su questo piano il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si allontana dalla politica diel suo predecessore Barack Obama che tralasciò l’Europa e ruppe duramente con i russi.
Resta da gestire il tema dei tedeschi. La Germania in questi ultimi vent’anni è molto cambiata e in particolare la sua ricchezza è divenuta enorme. Il surplus commerciale tedesco è circa la metà di quello cinese ma basta considerare che i tedeschi sono 80 milioni mentre i cinesi 1,4 miliardi per capire quanto si è rafforzata l’economia della Germania.
Si tratta della vera potenza commerciale globale, che tra l’altro è anche il paese occidentale che ha i migliori rapporti con Pechino. Nel processo della costruzione europea la Francia sempre ha inseguito la Germania sul piano economico, talvolta diminuendo le distanze come durante gli anni Settanta. Ma ormai il gap è troppo forte e nessuno può recuperare il divario con Berlino.
Questo spiega l’atteggiamento americano: durante gli anni della sua presidenza, Donald Trump era sempre furibondo con i tedeschi per il loro surplus commerciale e ha speso molte energie per cercare di diminuirlo.
Nemmeno Obama aveva in gran simpatia la cancelliera tedesca Angela Merkel. Dopo l’unificazione, la potenza di Berlino si è espressa anche all’interno dell’Unione europea, come sul patto di stabilità o sul fiscal compact, bloccando per anni qualunque tentativo di renderli meno rigidi.
Quanto alla mutualizzazione del debito degli stati membri, neanche a parlarne. Soltanto la pandemia ha rilasciato un po’ i vincoli e permesso di creare una prima formula di eurobond per finanziare il Recovery Fund, anche se sono molti in Germania a pensare che occorra rapidamente tornare alle vecchie regole, come ha fatto sapere recentemente l’ex ministro e presidente del Bundestag Wolfgang Schauble.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, nella sua vita precedente, è divenuto famoso proprio per aver tenuto testa ai tedeschi ed aver utilizzato la Banca centrale europea come grande ammortizzatore delle ripetute crisi finanziarie ed economiche che si sono accumulate in questi due decenni, tra l’altro senza che la Germania ne fosse scalfita.
L’equilibrio italiano
La posizione italiana in tali frangenti ha seguito un doppio schema, permettendoci di restare in equilibrio: da una parte siamo sempre sotto l’occhiuto controllo delle istituzioni governative tedesche a causa del nostro immenso debito (giunto ora a superare i 2.650 miliardi); dall’altra godiamo dell’assoluto sostegno del settore industriale tedesco perché siamo il suo principale fornitore. In altre parole: senza l’Italia molto del made in Germany non si potrebbe produrre. Il legame è così stretto che la cancelliera ne ha sempre dovuto tenere conto, addolcendo le intemerate dei suoi ministri.
Mediante il suo potere economico la Germania ha cambiato la cartina geopolitica d’Europa: la questione del raddoppio del gasdotto Nord Stream assieme alla Russia l’ha messa in rotta di collisione con gli Usa e nulla l’ha fatta recedere.
La nuova politica americana che Biden ora sta introducendo tiene conto dei desiderata tedeschi: non rompere con Mosca malgrado tutto (cioè malgrado Ucraina e Crimea).
Una simile posizione riguarda anche le relazioni con la Cina: la Germania resta il maggior investitore nella Repubblica popolare e non ha intenzione di frenare la sua corsa, malgrado molti lo sconsiglino per non farsi rubare i segreti tecnologici.
L’aver puntato tutto sull’innovazione e sull’industria manifatturiera leggera e pesante, è progressivamente divenuto per Berlino una potente arma geopolitica che influenza gli equilibri globali.
Così Berlino può permettersi di resistere alle pressioni dei suoi alleati europei ed occidentali che le chiedono maggior sensibilità alle ragioni della democrazia e dei diritti umani nei confronti di Mosca e Pechino, che propongono un modello autoritario.
Allo stesso tempo Berlino può rappresentare un punto di mediazione molto utile per mantenere aperti i canali di dialogo. Per questo le prossime elezioni tedesche, in settembre, rappresentano un passaggio delicato: Angela Merkel, arrivata ormai alla fine del suo lungo percorso politico, ha sempre saputo mantenere bilanciate tutte le esigenze. Ci si chiede cosa faranno i suoi successori.
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