- Qualcosa non torna sui conti del gas. Le imprese sono disperate per aumenti esponenziali delle bollette energetiche, la cronaca racconta di fonderie, vetrerie e cartiere che chiudono, mentre per tante famiglie la rata del riscaldamento diventerà semplicemente impossibile da pagare.
- Eni dell’ultimo trimestre 2021 ha registrato un utile operativo rettificato di 3,81 miliardi rispetto ai 488 milioni dello stesso periodo del 2020.
- Proprio mentre si arricchisce l'azienda nazionale del gas si trovano in ginocchio le piccole e medie imprese, per non parlare delle famiglie.
Qualcosa non torna sui conti del gas. Le imprese sono disperate per aumenti esponenziali delle bollette energetiche, la cronaca racconta di fonderie, vetrerie e cartiere che chiudono, mentre per tante famiglie la rata del riscaldamento, quella che pesa di più sul bilancio e legata all’andamento del gas, diventerà semplicemente impossibile da pagare.
Il governo è già dovuto intervenire due volte con provvedimenti ad hoc stanziando circa 11 miliardi di Euro per limitare gli impatti, anche se in modo inevitabilmente limitato a fronte di un prezzo del gas aumentato di quattro volte sui mercati internazionali.
Eppure, in diverse dichiarazioni di questi giorni il presidente russo Vladimir Putin e l’ambasciatore in Italia, Sergey Razov, hanno ribadito che in questi mesi il calo delle forniture verso l’Italia è stato limitato e i prezzi sono stati «molto più bassi rispetto al mercato spot, anche perché le compagnie energetiche italiane hanno contratti a lungo termine con Gazprom».
A conferma delle parole di Razov e Putin sono arrivati i dati di bilancio dell’Eni dell’ultimo trimestre 2021, in cui si evidenzia un utile operativo rettificato di 3,81 miliardi rispetto ai 488 milioni dello stesso periodo del 2020. Un risultato giudicato eccellente dall’amministratore delegato Claudio Descalzi e con tendenze positive, guarda caso, anche in questo inizio di anno.
Se è così, proprio mentre si arricchisce l'azienda nazionale del gas si trovano in ginocchio le piccole e medie imprese, per non parlare delle famiglie.
La questione è rilevante e politica. Perché Eni è un’azienda controllata dallo Stato e non può solo trarre benefici da una crisi drammatica per il sistema industriale italiano. La contraddizione nelle scelte del governo Draghi è evidente e riguarda il diverso trattamento tra chi produce energia da fonti rinnovabili e chi estrae, distribuisce e vende gas e petrolio in Italia.
Perché gli extra profitti dei primi, dovuti all’aumento del prezzo dell’energia, saranno tassati, come previsto dal decreto approvato a gennaio, mentre quelli dei secondi no. Inoltre, poca attenzione è andata al fatto che le risorse per ridurre le bollette verranno prelevate dalle aste Ets per l’assegnazione delle quote di emissione di CO2, che il presidente di Arera Stefano Besseghini ha auspicato diventi una misura stabile e strutturale.
In sostanza, viene smontato il meccanismo che l’Unione europea aveva messo in campo per tassare le emissioni di gas serra e coprire gli investimenti nell’alternativa al gas, ossia efficienza e rinnovabili. Per evitare di uscire con un ennesimo provvedimento che guardasse solo alle fossili, nel decreto approvato venerdì sono previste anche alcune misure per la semplificazione delle procedure e per investimenti da parte delle imprese in efficienza e autoproduzione dal solare, ma la portata sarà limitata.
Questi mesi di bufera dei prezzi energetici hanno confermato che la transizione energetica in Italia non è neanche iniziata e che si vuole sfruttare la bufera dei prezzi energetici per rafforzare il ruolo del gas rinviando le politiche di decarbonizzazione. La conferma sta in una lunga serie di provvedimenti contraddittori.
Un esempio è la proroga dell’ecobonus più generoso al mondo per la riqualificazione energetica degli edifici, che prevede un contributo del 110 per cento per le caldaie a gas. In nessun paese in Europa è previsto qualcosa in così evidente contraddizione con le politiche climatiche, a maggior ragione oggi che le pompe di calore garantiscono maggiore efficienza e risparmi per le famiglie.
Le imprese che vogliono scommettere sull’eolico nei mari italiani sono state abbandonate. Oggi queste tecnologie sono finalmente competitive, anche a decine di chilometri dalla costa con sistemi galleggianti, e promettono una costante riduzione dei costi con una produzione importante.
Eppure, dalla Sardegna alla Puglia, dalla Sicilia alla Romagna è un fiorire di polemiche per progetti praticamente invisibili dalla costa, per la semplice ragione che il ministero per la Transizione guidato da Stefano Cingolani non ha ancora definito le regole per lo spazio marino in cui possono essere realizzate, la procedura di valutazione e di informazione delle comunità costiere.
E intanto c’è chi accusa le rinnovabili di essere responsabili per i problemi delle imprese italiane e le famiglie, ma è fin troppo chiaro chi chi sta beneficiando davvero di questa situazione.
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