La polemica dei Pro Vita & Famiglia contro l’Università Roma Tre, colpevole di aver organizzato un incontro sul benessere di ragazzi e ragazze con identità di genere non-normativa, dimostra soprattutto l’assurdità della polemica e della nozione stessa di “ideologia gender”
Dacché vent’anni orsono l’etichetta “ideologia gender” comparve su Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, redatto dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, fu lotta senza quartiere. E la lotta si ridesta tempestivamente a ogni tentativo di fare il punto, rigorosamente scientifico, su quanto oggi si sa sul sesso e sul genere. L’occasione recente è un incontro organizzato presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre «sul benessere di bambine/i e ragazze/i con un’espressione e/o identità di genere non-normativa», clinicamente riconosciuti dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Il tutto al fine di meglio comprenderne il vissuto emotivo nel contesto familiare e scolastico, come ribadisce il rettore, Massimiliano Fiorucci.
I membri dell’associazione Pro Vita & Famiglia, che per statuto protegge la summa divisio uomo-donna, si dichiarano «allibiti» dalle parole usate dal rettore, perché a loro avviso questi avrebbe ammesso l’intento scellerato e inconfessabile dell’incontro. Nella lettura di Pro Vita, il comunicato avrebbe implicitamente riconosciuto che si tratta di una vera e propria «forma di sperimentazione», per incidere direttamente sull’identità sessuale di bambini dai cinque anni in su. Insomma, proprio il rettore, esimio rappresentante della schiatta degli accademici, perdipiù già presidente della Società italiana di Pedagogia, avrebbe avallato l’interpretazione di Pro Vita circa la messa in pratica della famigerata ideologia gender: i suoi alfieri vogliono imporre a creature innocenti un linguaggio che, come un potentissimo rituale necromantico, una volta appreso, li trasformerebbe in entità degeneri.
Il pugnace manipolo di tutori dell’ordine naturale delle cose da tempo ormai va avanzando un’ipotesi screziata di complottismo: in Occidente sarebbe all’opera una strategia organizzatissima e capillare, sotto il controllo di non meglio precisati poteri forti, che punterebbe a sopprimere la famiglia tradizionale. A tal fine, gli ideologi del gender starebbero cercando di rimuovere i confini tra il maschio e la femmina, dal Padreterno scolpiti al momento della Creazione.
Peccato che l’ideologia gender non esista. Anzi, si tratta di un arnese tipico del repertorio polemico di molte associazioni, più o meno vicine a disparate confessioni religiose, per indicare in modo generico una batteria tutt’altro che omogenea di teorie e ricerche su genere e sessualità.
Questa sì, un’operazione scientemente ideologica, sostenuta da figure niente affatto marginali. Si pensi al controverso libro del presbitero belga Michel Schooyans, Nuovo disordine mondiale, prefato da Joseph Ratzinger, che appunto diede la stura all’aggressiva operazione censoria. Se in apertura Ratzinger evoca il “Nuovo Ordine Mondiale” – che fingerebbe di voler liberare la donna, mentre invero le sottrae il monopolio sulla maternità – via via Schooyans allestisce un indigeribile pastiche.
Derivante dalla «influenza congiunta della tradizione socialista e di quella liberale», l’ideologia gender sarebbe il prodotto dell’empia congiunzione tra comunismo e strutturalismo, volta a «disfare» la società con un’arma efficace e letale: l’abolizione di «termini come “matrimonio”, “famiglia”, “madre”» e la creazione di un linguaggio neutro.
E anche chi qui scrive dev’essere un servo sciocco e miope di questi poteri occulti, prosecutori dell’attività sterminatrice di Marx e Lévi-Strauss, se, pur privo di pulsioni familoclaste, crede di nutrire dubbi sulle categorie storicamente trasmesseci di sessualità e genere.
Ma la ragione che, con mio massimo sollievo, dimostra l’assurdità della nozione stessa di “ideologia gender” è che Pro Vita & Co. si fanno inconsapevoli difensori della tesi che addebitano ai genderisti: certe parole, come per magia, sarebbero capaci di annichilire una distinzione inscritta nella natura, secondo alcuni di derivazione persino divina. Il prefisso “trans”, come fosse l’Orazione di San Cipriano, confonderebbe bambine e bambini fino a infondere in loro l’odio per i genitali che si ritrovano dalla nascita.
Ma siccome, ahimè, mi capita di sperimentare come e quanto le parole prodotte nelle aule universitarie siano sempre meno capaci di produrre effetti sulla società, mi sentirei di tranquillizzare chi, per la paura di un massiccio contagio lessicale, avesse pensato di rinunciare all’istruzione superiore dei propri figli.
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