Il 7 di febbraio del terribile 2020 sono stato contattato via Twitter da un attivista egiziano, poche ore dopo l’arresto di Patrick. Mi chiede aiuto: «Puoi fare circolare la notizia?»

Quando una persona viene arrestata, soprattutto quando questo avviene in paesi in cui lo stato di diritto è un concetto molto, troppo astratto, una delle cose più difficili è mostrare il volto della vittima.

Spesso infatti non ci sono foto ufficiali: si tratta di persone semplici, non figure pubbliche, di cui l’unica testimonianza dell’esistenza è costituita dalle foto di famiglia, da quelle che si conservano sul proprio cellulare. Certo, ora c’è Facebook, così qualche ora dopo il suo arresto, avevo già fatto e twittato sul mio profilo il primo ritratto di Zaki. Ovviamente il disegno permette non solo di fare un’immagine sintetica del volto di qualcuno, ma anche di interpretarla.

La richiesta dell’immediata scarcerazione del giovane studente egiziano ho deciso di presentarla con un volto sorridente in mezzo a una nuvola di filo spinato.

Qualche giorno dopo mi contatta Amnesty International, con la quale condividiamo diverse campagne, anche se io sono un artista attivista senza cartello, per chiedermi di poter usare quell’immagine per promuovere la liberazione di questo sconosciuto e brillante studente dell’università di Bologna. Ovviamente accetto.

La sua storia muove cuori e mani, che stampano, attaccano per le strade, diffondono quel disegno. Nel frattempo, però, il Covid interrompe le nostre vite. Arriva il lockdown, e siamo tutti concentrati a leggere i numeri sulla pandemia.

Diventa difficile poter tenere alta l’attenzione sui diritti umani violati in altri paesi, e anche comunicare utilizzando forme artistiche tradizionali. Perché la difficoltà più grossa oggi è ottenere l’attenzione per più di un nano secondo necessario per un like sulla rete.

Bologna

A maggio scopro che lo spazio pubblicitario in piazza Maggiore a Bologna è vuoto: non ci sono consumatori a spasso e quindi perché pagare per un enorme manifesto. Così creo un fotomontaggio con quell'immagine e metto un tag al sindaco di Bologna Merola.

Poche ore dopo la sua segreteria mi contatta e mi chiedono la disponibilità a stampare in un formato gigantesco quel file. Dalle foto di quei giorni, ma anche dai messaggi ricevuti, emerge chiaramente come il ritorno alla sottratta socialità, alla possibilità di camminare le strade e le piazze, trova in quell’atto civile una sorta di catarsi.

Tanti scrivono per dirmi quanto importante sia stato uscire e vedere la propria città protagonista per la campagna di liberazione di un giovane studente universitario, che ormai è diventato per tutti “Patrick” e basta.

Ne parlano tv e stampa, così gli investitori si ricordano di quell’angolo e pochi giorni dopo il manifesto è tolto, ma ormai l’azione è partita, non si può più interrompere. Così l’Archiginnasio di Bologna ospita un’istallazione importante con le prime sagome di Zaki, che poi diventeranno anch’esse un oggetto che interseca la storia della nostra vita pandemica (di fatto viene usato anche come distanziatore in cinema e teatri), ma anche come monito, deve tornare qui con noi.

Ogni passaggio dell’immagine costituisce quindi una sua ri-semantizzazione. La strada però dei diritti umani violati è lunga, e ha bisogno di pazienza, caparbietà e creatività. Nessuno di questi ingredienti è da solo sufficiente.

Milano e gli aquiloni

A settembre 2020, questa volta con il Festival dei diritti umani di Milano e gli aquilonisti di Cervia, trasformo il ritratto di Zaki in un aquilone. Anche questa volta il gesto, l’oggetto e l’immagine sono l’apertura di un altro discorso intrecciato alla vicenda: Al Sisi ha infatti vietato l’uso degli aquiloni che secondo il dittatore avevano costituito una minaccia durante il lockdown, utilizzati per passeggiare senza motivo e che possono essere utilizzati «per spiare dal cielo».

Come sempre il file è stato reso vettoriale, pronto per la stampa e la condivisione. Devo dire che è stato emozionante vedere come questo ritratto è stato preso in mano da cittadini e cittadine di ogni età e tipologia, utilizzata per dire una cosa necessaria e urgente, liberatelo.

Ne ho fatti poi molti altri di disegni a lui ispirati, anzi uscirà proprio un libro a fumetti su questa vicenda. Però quello che conta è l’azione artistica e politica che sta alla base del primo ritratto e che deve accompagnare nel tempo i detenuti e le detenute per motivi di opinione nel mondo. Il lavoro si fonda, quindi, su un’importante commistione tra linea e tempo.

Per il momento questa vicenda sembra avere un esito abbastanza positivo, e ne sono felicissimo. Sento che quel gesto semplice che faccio, arcaico, che è il disegnare, può dare il suo contributo alla vita di qualcuno che non conosco direttamente. 

Dico esito abbastanza positivo perché oggi festeggio come tanti la sua scarcerazione, ma non posso dimenticare questi 22 mesi di ingiusta prigionia. E soprattutto non posso dimenticare tutti gli altri ingiustamente detenuti. Così vi saluto, vi ringrazio e torno a disegnare.

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