Con poca furbizia politica è stato toccato il tabù dei tabù per un elettorato che non è interessato a ragionamenti di redistribuzione, di giustizia sociale, di aumento degli investimenti pubblici, di rispetto delle regole economiche europee. Una disaffezione verso il governo nei prossimi mesi diventa forse possibile per la prima volta in due anni
Con poca furbizia politica la destra ha rotto l’argine dell’innalzamento delle tasse. Il tabù dei tabù per gli elettori del centrodestra è stato incrinato dalle parole del ministro Giancarlo Giorgetti: si è iniziato con i sacrifici per tutti e si è proseguito con l’illustrazione dei nuovi balzelli per il contribuente previsti dalla legge di bilancio.
Il governo Meloni ha cercato di correre ai ripari, di correggere la rotta con la comunicazione, di costringere Giorgetti ad una mezza smentita ma nell’opinione pubblica si è oramai aperta una breccia per la quale una delle promesse cardine del centrodestra, abbassare le tasse o quantomeno non aumentarle, verrà disattesa.
È un errore politico? Sì, perché l’elettorato che sostiene la maggioranza non è interessato a ragionamenti di redistribuzione, di giustizia sociale, di aumento degli investimenti pubblici, di rispetto delle regole economiche europee. Queste ricette, con cui giustificare aumenti di tasse, vanno bene per l’elettorato di sinistra ma non per quello di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.
Chi vota questi partiti, dopo venticinque anni di Berlusconi, si è abituato all’idea che la convergenza tra aumento della fiscalità e destra al governo non possa mai avvenire. Per gran parte di questi elettori è fondamentale che lo Stato non aumenti prelievi e richieste ai cittadini.
Di qui una delusione, magari una disaffezione, del popolo di centrodestra verso il governo nei prossimi mesi diventa forse possibile per la prima volta in due anni. Si può certo dire che si tratta di aumenti di tasse limitati, solo per chi ha usufruito del superbonus o la solita crescita di accise sui carburanti o qualche ritocco alle detrazioni o un prelievo extra su alcune categorie di aziende, e che questi sono in parte bilanciati dalla riduzione del cuneo fiscale, ma sul piano della politica pura ciò che passa è che il governo Meloni non riesce a tagliare la spesa pubblica per evitare aumenti di tassi. Ed è proprio questo uno dei problemi che emerge dalla manovra, la mancanza di idee chiare nel cambiamento delle voci di bilancio.
Se la priorità sono le imprese, il lavoro e il patrimonio degli italiani, se il programma di governo ha il suo perno centrale nella promessa di non aumentare le tasse, allora le risorse dovrebbero essere reperite altrove come dalla riduzione della spesa pensionistica, dal taglio di bonus e finanziamenti a pioggia, dalla riduzione della spesa regionale e locale. Inoltre, presentare gli interventi come volti soltanto a punire alcune aziende privilegiate, come le banche ad esempio, non smonterà l’idea diffusa che il governo sia stato costretto a stringere i bulloni del fisco. I precedenti storici di aumenti di tasse non portano bene al centrodestra.
Quando un altro ministro in quota Lega ma con molta autonomia come Giulio Tremonti fu costretto ad aumentare le tasse, per altro nel corso di una congiuntura internazionale ben peggiore dell’attuale, iniziò il declino dell’ultimo governo Berlusconi. È bene che Meloni e Giorgetti lo tengano a mente.
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