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Il fatto che il libro autobiografico di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, sia primo nelle classifiche delle vendite, mette le sinistre a disagio.
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Alcune librerie hanno rifiutato di venderlo. La Feltrinelli di Milano ha fatto di più, ne ha esposte in vetrina tre file di copie rovesciate, a testa in giù. Meloni ringrazia: quale migliore prova della faziosità che serpeggia nei «salotti buoni della sinistra», tra gli «pseudointellettuali»?
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Quale che fosse l’intento di quei birichini della Feltrinelli, il capovolgimento del libro, evocando quello di piazzale Loreto è servito a riattivare una frattura originaria della guerra civile.
Il fatto che il libro autobiografico di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, sia primo nelle classifiche delle vendite, mette le sinistre a disagio.
Alcune librerie hanno rifiutato di venderlo. La Feltrinelli di Milano ha fatto di più, ne ha esposte in vetrina tre file di copie rovesciate, a testa in giù.
Meloni ringrazia: quale migliore prova della faziosità che serpeggia nei «salotti buoni della sinistra», tra gli «pseudointellettuali»? Alcuni pochi hanno sorriso: una birichinata, un gesto dadaista, un libro di Meloni primo in classifica? Il mondo alla rovescia.
Un docente di Ca’ Foscari Venezia ha postato su Facebook la fotografia della vetrina con i libri capovolti scrivendo «questo può avvenire nelle librerie», aggiungendo: «È uno scherzo temporaneo che al massimo produrrà un po’ di mal di testa». Ma dopo aver detto, come di rito, di essere stato «erroneamente interpretato», ha ritirato il post. Già, perché la (piccola) cosa ha fatto molto rumore.
Infatti diversi giornali di destra – Giornale, Libero, La Verità – hanno subito cavalcato l’episodio, lanciando strali, e il docente veneziano è stato subissato di insulti, e poiché appartiene a una nota famiglia ebraica della città, in tanto livore nei suoi confronti non sono mancati cenni antisemiti.
La rettrice dell’università ha prima dichiarato di «dissociarsi» dal gesto, «fermo restando il valore irrinunciabile della libertà di espressione», e in un successivo comunicato, ribadendo la sua estraneità all’iniziativa del docente, ha stigmatizzato «il preoccupante accrescersi, in rete, di dichiarazioni e commenti ai limiti dell’odio in relazione alla vicenda».
Perché tanto rumore? Quella Meloni a testa all’ingiù è stata intesa come un riferimento a Piazzale Loreto, ovvero allo scempio fatto il 29 aprile 1945 dei cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci che insieme ad altri gerarchi furono appesi a un distributore in quella piazza.
Il riferimento
Mussolini e Petacci, in fuga con molti altri funzionari e gerarchi, presi prigionieri da una banda partigiana furono fucilati sul posto insieme a sedici persone.
I corpi furono portati a Milano, e depositati là dove il 10 agosto 1944 i repubblichini della Legione Ettore Muti avevano fucilato quindici partigiani prelevati dal carcere di San Vittore, lasciando poi lì i corpi tutto quel caldo giorno di agosto e impedendo a chiunque di avvicinarsi, anche ai familiari.
Era stato un crudo atto di rappresaglia, attuato in base al bando con cui Kesselring aveva annunciato gravi ritorsioni in caso di attentati alle truppe tedesche, il bando che era costato i 335 morti delle Fosse Ardeatine dopo l’attentato di via Rasella. Anche a Milano c’era stato un attentato, senza però alcun morto. Il massacro del 10 agosto aveva destato una profonda impressione, ma nella memoria fu travolto dal 29 aprile seguente. Ora, portare proprio in quella piazza i cadaveri di Mussolini appariva una palese vendetta. Si riunì una gran folla. I pochi partigiani di guardia, con dei vigili del fuoco, issarono i corpi sulla pensilina del distributore per sottrarli alla folla che aveva iniziato a oltraggiarli in mille modi. Tutto fu ripetutamente fotografato prima che i cadaveri fossero rimossi e portati all’obitorio. Così la Piazzale Loreto del 29 aprile oscurò quella del 10 agosto 1944, e divenne per eccellenza il luogo del trauma. Come accade a volte nella storia, nel tumulto incontrollato della folla, un gesto tra i mille, carico di segni orrendi, divenne il simbolo della traumatica fine della dittatura, un rito sacrificale, un esorcismo...
L’interpretazione
Poco conta che ai capi della Resistenza che quattro giorni avanti avevano sfilato vittoriosi per le vie di Milano, l’episodio apparisse subito una barbarie. Come ha ricordato su Facebook Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, riprendendo un recente volume di Massimo Castoldi, quando Sandro Pertini seppe quanto era accaduto, parlò di disonore ricaduto sull’insurrezione, Ferruccio Parri avrebbe usato l’espressione “macelleria messicana”, terribile e indegna, Luigi Longo parlò di profanazione di un luogo sacro agli antifascisti (ma 20 anni dopo sull’Unità sostenne di aver ritenuto un atto di giustizia quell’esposizione: ah, l’irrinunciabile doppiezza...).
Accettare l’espiazione?
Di quei giorni lontani si sa tutto. Ma che conta? Subito, mentre i destri hanno invocato censure e reprimende, e presentato interrogazioni parlamentari, a sinistra qualcuno ha ribadito che la Resistenza va accettata tutta, senza se e senza ma, e che se la destra di oggi vuole partecipare al gioco democratico, deve accettare l’espiazione, il contrappasso, la giusta vendetta del popolo...
Quale dunque che fosse l’intento di quei birichini della Feltrinelli, il capovolgimento del libro, evocando quello di piazzale Loreto è servito a riattivare una frattura originaria della guerra civile, tanto più potente e divisiva quanto meno sono conosciuti i fatti, ridotti a mere icone pronte all’uso per i nuovi odiatori che sconquassano la vita civile del paese.
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