Giorgia Meloni promette più evasione fiscale per tutti, e già sarebbe grave. Ma ancora più grave è che non lei e chi le scrive i discorsi non hanno la più pallida idea di cosa parlano.
Giorgia Meloni promette più evasione fiscale per tutti, e già sarebbe grave. Ma ancora più grave è che lei e chi le scrive i discorsi non hanno la più pallida idea di cosa parlano.
Nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, Meloni annuncia «una serrata lotta all’evasione fiscale» fondata su una rivoluzione di approccio: «Una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle Entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente avvenuto finora».
Sembra una idea di buon senso, infatti è già stata applicata dieci anni fa. Ogni anno il ministero dell’Economia e l’Agenzia delle entrate firmano una convenzione che fissa i parametri del servizio e le modalità di intervento.
Dalla convenzione del 2009-2011 non è più presente l’indicatore della “maggior imposta accertata”, quello che nella visione di Meloni potrebbe dare l’incentivo all’Agenzia a contestare quante più somme possibili senza preoccuparsi poi che si possano davvero riscuotere, con massimo fastidio per il contribuente e minimo introito per lo stato.
La cosa bizzarra è che è stato proprio l’unico governo di cui Giorgia Meloni abbia fatto parte, quello Berlusconi 2008-2011, a introdurre la riforma: quindi la premier dovrebbe ricordarsela anche se averla studiata appositamente.
Da anni, e nella convenzione 2022-2024 in vigore, ci sono invece obiettivi per l’Agenzia che includono la qualità del servizio e la riduzione dell’onere per il contribuente, tipo i tempi dei rimborsi o quelli delle attese per avere un appuntamento.
L’indicatore chiave della performance è già quello delle “entrate complessive da contrasto”, cioè il gettito effettivo: non c’è quindi più alcun rischio che l’Agenzia abbia delle ragioni per contestare importi che non ha speranza di ottenere davvero. Si tratterebbe soltanto di uno spreco di risorse a fronte di nessun beneficio.
Rassicurare gli evasori
Quindi Meloni non sa di cosa parla quando parla di lotta all’evasione. Ma sa conosce benissimo la sua materia quando invece si tratta di compiacere gli evasori che l’hanno appena votata: la lotta all’evasione deve «partire da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva».
Tradotto: i piccoli evasori possono dormire sonni tranquilli. Ma il problema dell’Italia è quello della grande evasione? No, però i piccoli evasori votano mentre le multinazionali no.
Se guardiamo la relazione del ministero del Tesoro sull’Economia non osservata nel 2021, l’imposta più evasa è l’Irpef sul lavoro autonomo e di impresa, per 32,4 miliardi di euro. L’Ires e l’Irap, imposte che pagano solo le imprese, sono evase per 8,3 e 5 miliardi rispettivamente.
L’evasione sull’Iva, grazie a misure di tracciamento e limiti all’uso del contante e incrocio di banche dati a cui il centrodestra si è sempre opposto, è scesa da 35,8 a 27 miliardi in cinque anni.
Anche se guardiamo il gettito dell’Agenzia delle Entrate si vede che i soldi dell’evasione vanno recuperati dai piccoli evasori più che dai grandi (o che almeno è lì che si possono recuperare): nel 2021, dai grandi contribuenti con un fatturato sopra i 100 milioni id euro, l’Agenzia ha accertato maggiori imposte dovute per 1,2 miliardi a fronte di 3.758 controlli.
Dalle imprese di medie dimensioni, quasi a parità di accertamenti (3.433) ha accertato quasi il doppio delle imposte dovute, 2,2 miliardi di euro.
E poi c’è l’abisso dei lavoratori autonomi: ben 44.647 accertamenti e maggiori imposte accertate per 3,7 miliardi.
Peraltro, i piccoli contribuenti possono rateizzare le cartelle esattoriali che per oltre metà hanno un importo inferiore a 1000 euro al mese: la cifra mensile da pagare scende fino a 50 euro al mese.
Quindi, chi non paga le tasse è perché non le vuole pagare proprio. Non perché non è in condizione (la favola elettorale dell’evasione di sopravvivenza).
La «tregua fiscale» che promette Meloni a chi è “in difficoltà a regolarizzare la propria posizione col fisco” è dunque sostanzialmente la solita garanzia offerta da tutti i governi di centrodestra: chi ha evaso, può continuare a evadere.
Allo scadere del mandato di Ernesto Maria Ruffini come presidente dell’Agenzia, probabilmente Meloni chiederà un nome del successore a Silvio Berlusconi: chi meglio di un condannato per frode fiscale può esprimere un presidente adeguato ad applicare il programma del governo Meloni?
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