- La situazione dei giovani italiani è particolarmente critica sotto molti punti di vista: basso livello di occupazione, istruzione e lunga permanenza a casa coi genitori.
- Affrontare la questione significa avere in mente l’intero processo di transizione alla vita adulta che va dalla fine studi, all’inserimento nel mercato del lavoro, da una casa indipendente alla formazione di una famiglia.
- Non si può pensare di rispondere in maniera adeguata con poche misure, limitate e ad hoc a una situazione complessa che necessita di risposte strutturali come l’occupazione stabile, un mercato immobiliare meno rigido, e aiuti pubblici certi e tempestivi.
Uno dei leitmotiv del governo è voler affrontare la situazione dei giovani che appare particolarmente problematica. È ben noto, infatti, che l’Italia abbia il più alto tasso di Neet, ossia di ragazze e ragazzi che non studiano e non lavorano. Ma le criticità riguardano vari ambiti e in quasi tutti il nostro paese si colloca nella posizione peggiore in Europa. Il livello di occupazione per i 20-29enni negli ultimi dieci anni non ha mai superato il 50 per cento e nel 2020 è stato di circa il 42 per cento.
Nello stesso anno, la media europea era più alta di 20 punti percentuali. Gli iscritti all’università nella fascia di età 20-24 anni sono un terzo e la percentuale di laureati tra i 30-34enni non è ancora arrivata al 28 per cento. In Europa molti paesi registrano una percentuale quasi doppia di giovani con un’istruzione universitaria e la media è di circa 13 punti più alta. Anche il dato sulla permanenza a casa coi genitori è preoccupante: tra coloro che hanno meno di 34 anni più di due su tre vivono con i genitori, a fronte della media europea dove è solo uno su due. Non stupisce quindi che continuino a diminuire i nati, con un numero medio di figli per donna di 1,27 e un età media al parto tra le più alte, oltre i 32 anni.
Dall’adolescenza alla maturità
Il quadro che emerge è dunque di grande difficoltà in ognuna delle fasi di quella che viene definita la transizione alla vita adulta, ossia il processo che porta dall’adolescenza alla maturità attraverso una serie di tappe. Bisogna infatti avere in mente che diventare adulti non è definito dal raggiungimento di una soglia anagrafica, come la maggiore età, ma piuttosto dall’acquisizione di un certo grado di autonomia economica, che consenta di formare una propria famiglia indipendente da quella di origine.
Dunque, essere adulti significa aver finito gli studi, aver iniziato a lavorare, vivere in un’abitazione autonoma, aver iniziato una vita di coppia stabile ed essere diventati genitori. Questo è il processo considerato normale nella nostra società anche perché è il più funzionale. È, infatti, difficile trovare un’occupazione se si studia ancora ed è arduo andare a vivere da soli e tantomeno farsi una famiglia se non si ha un reddito. È chiaro che non sempre tutti gli eventi vengono compiuti dai soggetti ed è possibile che vi siano percorsi diversi.
Tuttavia, la maggioranza dei giovani italiani sperimenta un modello di autonomia simile: la lenta transizione dalla vita adulta. Lenta per via delle età – più alte rispetto alla media dell’Europa – a cui molte tappe sono raggiunte. Inoltre, questo processo è caratterizzato da un inserimento frammentato nel mercato del lavoro con più lunga permanenza a casa dei genitori. E spesso l’aiuto di questi ultimi continua anche quando i figli sono usciti.
Ma quanto dipendono dalle predilezioni individuali i tempi e i modi di diventare adulti? Per rispondere a questa domanda consideriamo tre elementi cruciali. Il primo è il mercato del lavoro, con una bassa richiesta di occupazioni, in particolare qualificate e con molti lavori a termine, poco pagati. È un contesto sfavorevole ai giovani che per essere autonomi devono contare su un salario sicuro, che gli consenta di mantenersi. Il secondo elemento è il mercato immobiliare, particolarmente rigido, con un’offerta scarsa di alloggi in affitto e una ancora più limitata di edilizia pubblica e sociale. Chi decide di andare a vivere da solo con una disponibilità economica ridotta cerca invece soluzioni abitative spesso in affitto e a poco prezzo. Infine, il terzo elemento è quello delle politiche pubbliche di sostegno al reddito per chi si trova in difficoltà. Nelle varie fasi del processo alla vita adulta, i giovani hanno spesso bisogno di poter contare su un salvagente. Ma non tutti possono attingere alle risorse della famiglia di origine ed è dunque fondamentale il ruolo degli aiuti pubblici certi e tempestivi. Dunque, l’acquisizione dell’indipendenza dei giovani può essere supportata da condizioni economiche e istituzionali più favorevoli di quelle attuali. Infatti, le preferenze dei giovani hanno uno spazio piuttosto ridotto se si scontrano con ampi vincoli. Benissimo allora il ritornello di aiutare i giovani, ma per progettare interventi efficaci va tenuto conto sia dell’intera durata del processo alla vita adulta, sia del fatto che gli ambiti di lavoro, casa e famiglia sono fortemente interrelati.
La discussione politica non può limitarsi all’applicazione di poche misure, limitate e ad hoc. Non è certo sufficiente l’agevolazione per il mutuo prima casa e neppure la proposta della eredità una tantum ai giovani. Al contrario a fronte di una situazione complessa, sono necessarie risposte strutturali per favorire l’occupazione stabile, un mercato immobiliare meno rigido e aiuti pubblici in caso di assenza di reddito. Ancor meno, come ha proposto recentemente Draghi al G7, gli interventi possono essere messi in alternativa tra loro. La spesa per gli investimenti non dev’essere il superamento delle forme di sussidio, ma deve essere affiancata a essa. Lo stato può e deve, infatti, rappresentare sempre un sostegno per i cittadini, in particolare per i giovani che si trovano in condizione di grande fragilità.
© Riproduzione riservata