- Per qualche tempo è circolata una certa nostalgia per Giuseppe Conte, la cui popolarità dipendeva soprattutto dalla tendenza molto italiana di omaggiare il potente di turno e dall’essersi trovato a guidare il paese durante la pandemia.
- Ora Conte è tornato come leader dei Cinque stelle, parla, scrive, fa interviste. E a ogni uscita conferma quanto immotivata fosse la stima di cui ha goduto.
- Dopo un aspro scontro con Beppe Grillo sul nuovo statuto del Movimento Cinque stelle, Conte ha ottenuto i poteri di indirizzo che reclamava. Non ha ancora dimostrato di avere un’idea chiara di cosa farne.
Per qualche tempo è circolata una certa nostalgia per Giuseppe Conte, la cui popolarità dipendeva soprattutto dalla tendenza molto italiana di omaggiare il potente di turno e dall’essersi trovato a guidare il paese durante la pandemia. Ora Conte è tornato come leader dei Cinque stelle, parla, scrive, fa interviste. E a ogni uscita conferma quanto immotivata fosse la stima di cui ha goduto presso tanti nei mesi difficili del 2019-2020.
Conte si erge a paladino della cruciale misura anti povertà del reddito di cittadinanza – varato dal suo primo governo – ma sbaglia clamorosamente il numero dei poveri a Milano (non ci possono essere 200.000 bambini poveri su 210.000 minorenni residenti a Milano).
Poi interviene sulla crisi dell’Afghanistan e non si capisce bene cosa voglia dire: trattare con i Talebani è al contempo un’ovvietà (gli Stati Uniti lo fanno da anni) e una scelta di posizionamento su uno scacchiere dove alcuni paesi e l’Onu trattano i Talebani da terroristi e altri, come Cina o Pakistan, come strumenti per le proprie esigenze geopolitiche.
In una intervista al Corriere della Sera, ora Conte riesce in un singolare sforzo di dissociazione dalla realtà: ci sono cose fatte dal suo governo che i ministri facevano da soli, tipo i decreti Sicurezza di Matteo Salvini. Soltanto ora Conte riconosce che quelle misure ingiustamente punitive per i richiedenti asilo “hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne”. Il 24 settembre 2018, invece, presentava quei decreti come un’alternativa necessaria alla “accoglienza indiscriminata” di cui si era macchiata l’Italia. Salvini al suo fianco annuiva.
Altre misure nelle parole di Conte sembrano quasi eventi meteorologici, fuori dal controllo della politica, tipo quota 100: le misure di pensionamento anticipato, volute con uguale vigore da Lega e Cinque stelle, sono costate quanto il reddito di cittadinanza (19 miliardi in tre anni) ma si sono rivelate completamente inutili.
Lo ha certificato Pasquale Tridico, presidente dell’Inps nominato da Conte: pensionamenti anticipati di 180.000 uomini e 73.000 donne in due anni, soprattutto pubblico impiego e a reddito medio-alto, e l’analisi dei dati Inps «non mostra evidenza chiara di uno stimolo alle maggiori assunzioni da parte dell’anticipo pensionistico». La storia che le aziende avrebbero assunto giovani al posto dei pensionati era una balla, propalata dal governo Conte per giustificare una misura clientelare a fini elettorali.
Alla domanda su cosa fare dopo quota 100, che per fortuna finisce quest’anno visto che era attivata in via sperimentale, Conte non riesce a dare una risposta chiara, giusto il solito ritornello su «avviare un confronto per ampliare la lista dei lavori gravosi e usuranti». Che non vuol dire niente, ma «avviare un confronto» è sempre cosa buona e giusta.
Dopo un aspro scontro con Beppe Grillo sul nuovo statuto del Movimento Cinque stelle, Conte ha ottenuto i poteri di indirizzo che reclamava. Non ha ancora dimostrato di avere un’idea chiara di cosa farne.
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