- L’anno appena concluso ha portato all’insediamento del tanto atteso quanto discusso sesto governo Netanyahu, che, per la prima volta, governerà col solo supporto dei partiti religiosi. Si tratta senza dubbio di un governo fondato su una componente razzista, anti araba e suprematista.
- La formazione di questo governo, costituitosi per ragioni assai profane (i processi di Benjamin Netanyahu), si annuncia come gravida di conseguenze per tutto l’ebraismo mondiale.
- Allora, mi appello a voi, amiche e amici in Italia e in Europa. Aiutateci nella lotta contro le derive autoritarie presenti in ogni identità. Prima che il virus che ha contagiato la democrazia israeliana si espanda ad altre latitudini.
L’anno appena concluso ha portato all’insediamento del tanto atteso quanto discusso sesto governo Netanyahu, che, per la prima volta, governerà col solo supporto dei partiti religiosi. Anzitutto, per sgomberare il campo da ogni ambiguità, si tratta senza dubbio di un governo fondato su una componente razzista, anti araba e suprematista. Tanto per dirne una, star della campagna elettorale è stato il neo ministro della Pubblica sicurezza Itamar ben-Gvir, dedito a farsi riprendere mentre girava munito di pistola nei quartieri arabi di Gerusalemme e vicino ad ambienti kahanisti, l’ideologia eversiva nata attorno alla figura del rabbino Meir Kahane, messa al bando dal parlamento israeliano nel 1994.
Posizionamento internazionale
La formazione di questo governo, costituitosi per ragioni assai profane (i processi di Benjamin Netanyahu), si annuncia come gravida di conseguenze per tutto l’ebraismo mondiale. Anzitutto, ovviamente, per Israele, che vede messo a rischio l’attuale posizionamento internazionale fondato sull’imprescindibile alleanza con gli Usa e sul nuovo asse anti iraniano stabilito dagli storici Accordi di Abramo del 2020.
Proprio nel momento in cui erano arrivate aperture sulla possibilità di normalizzare le relazioni diplomatiche dalla stessa Arabia Saudita. Un problema che si aggiunge alla stabilità interna messa a rischio da una polarizzazione sociale, che ha portato il paese a cinque elezioni in nemmeno quattro anni e che ora vive un’ulteriore divaricazione.
Sostenibile? Non bisogna darlo per scontato talmente è la distanza di questa maggioranza oltranzista, razzista e omofoba dalla parte liberal di molte aree dello Stato. Si parla di deputati fondamentalisti che rivendicano il diritto dei medici, ovviamente per amore della libertà di coscienza, di poter rifiutare le cure a pazienti Lgbt e di annunci di liste di proscrizione con i nomi di quei giornalisti che, a dire di questi pazzi, farebbero propaganda «arcobaleno».
Affronti irricevibili per città come Tel Aviv, notoriamente gay friendly e dove si sono svolti alcuni dei gay pride più partecipati e colorati della storia del movimento. Ma, per chi la conosce, la società civile israeliana è tra le più critiche del mondo, forse per un dato culturale tipicamente ebraico, l’identità costruita attorno quel libro infinito che è il Talmud. Confidiamo, quindi, in un’opposizione senza quartiere.
La prime proteste
Le manifestazioni sono già partite nelle città miste (araba e ebraica) come Haifa. L’altra componente ebraica che subirà le conseguenze del cinismo amorale di Netanyahu è quella diaspora a cui lui si è rivolto come sovrano nei momenti più bui degli attacchi terroristici a siti ebraici, entrando in rotta di collisione con capi di Stato (ricordate l’attonito François Hollande durante il discorso concesso a Netanyahu alla sinagoga di Parigi dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e all’Hyper Casher?) e con i rabbini delle comunità colpite (vedasi Danimarca).
Appelli serviti a nulla, ovviamente, perché non esiste una sola persona al mondo sana di mente che si trasferisce armi e bagagli in una nuova nazione, tra l’altro non semplice, perché lo ha detto Re Bibi. Come era facile intuire è già partito il fuoco di fila dell’intellighenzia antisionista europea, in attesa che qualcuno le servisse sul piatto d’argento la prova provata che il sionismo è un’ideologia suprematista e segregazionista.
No, per chiunque abbia voglia di studiare, è chiarissimo che il dibattito sionista è uno dei vertici della cultura ebraica ed europea degli ultimi due secoli, tutto incentrato sulla ricerca di un equilibrio fra principi universali e identità particolare chiaramente espresso nella Carta d’indipendenza del 1948.
Allora, mi appello a voi, amiche e amici in Italia e in Europa. Non cedete a questa tentazione, supportate la parte liberale in Israele e nella diaspora come facciamo con le piazze iraniane e cinesi. Non lasciate che l’ebraismo, questa identità che ha dischiuso al mondo i valori di uguaglianza, libertà e fraternità ma traumatizzata da millenni di persecuzioni, si richiuda in una sindrome d’assedio nella convinzione che «tanto ci danno sempre addosso».
Aiutateci nella lotta contro le derive autoritarie presenti in ogni identità. Prima che il virus che ha contagiato la democrazia israeliana si espanda ad altre latitudini.
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