- Si pensa di rilasciare il “green pass” dopo due dosi di vaccino, anziché una sola, com’è attualmente in base a un decreto-legge di maggio.
- Ma già ora servono due dosi per (ri)entrare in Italia, come disposto da un’ordinanza del Ministero della Salute di giugno. Non a tutti è chiaro.
- In Francia, la previsione della certificazione Covid come “lasciapassare” obbligatorio in molti luoghi pubblici sta incentivando le vaccinazioni. Anche in Italia si valuta questa ipotesi. Ma introdurre una qualche “obbligatorietà” necessita di un idoneo bilanciamento di interessi.
Si torna a parlare di “green pass”. I rischi derivanti dalla variante Delta per i non vaccinati o i vaccinati con una sola dose - come avvertono gli scienziati - fanno riflettere su una “rimodulazione” del certificato Covid-19, rendendolo operativo dopo due dosi, anziché una com’è attualmente.
Intanto, con le vacanze, qualcuno scopre che già oggi una sola dose di vaccino non basta per (ri)entrare in Italia: ne servono due. Mentre chi partecipa a concorsi pubblici deve presentare un tampone negativo, anche se già vaccinato, salvo deroghe.
Insomma, sulla certificazione Covid-19 continua a esserci una certa confusione. Intanto, in Francia il pass vaccinale diviene condizione per accedere a locali pubblici e trasporti.
I suggerimenti del Cts e Macron
«Una sola dose di vaccino non copre adeguatamente», aveva detto Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts), alla fine di giugno. E negli stessi giorni il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, aveva affermato che la variante Delta avrebbe forse indotto a rilasciare il “green pass” solo dopo la seconda dose, ma sarebbero stati necessari «i dati di una o due settimane».
Le due settimane sono passate, e Fabio Ciciliano, membro del Cts, in un'intervista al Messaggero, ha suggerito di consentire la partecipazione a eventi come spettacoli o manifestazioni sportive esclusivamente a chi abbia il “green pass”, da rilasciare solo «dopo avere concluso il percorso vaccinale o perché si è superata l'infezione».
Secondo Ciciliano, il certificato Covid-19 non dovrebbe comprendere il tampone negativo, che limiterebbe «l'applicabilità ‘premiante’ del green pass sui soggetti non ancora vaccinati». In altre parole, il tampone negativo, funzionando come succedaneo della vaccinazione, non indurrebbe a farla.
Quest’ultimo profilo presenta criticità: la previsione del tampone, che è anche nel Regolamento Ue sul “green pass” (2021/953), serve a evitare discriminazioni verso chi non abbia potuto vaccinarsi per cause indipendenti dalla propria volontà o comunque abbia scelto di non farlo, in mancanza di un obbligo.
Intanto, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha sancito che la certificazione Covid sia richiesta come “lasciapassare” per entrare in cinema, teatri e altri luoghi di svago, nonché in bar e ristoranti, e per fruire di mezzi di trasporto; e che i tamponi siano sempre a pagamento, salvo certificato medico.
La decisione, tesa a spingere le persone a vaccinarsi, pare stia già ottenendo gli effetti sperati. In Italia, manca pari tempestività decisionale. A parte la necessità di disporre controlli idonei, mediante “controllori” autorizzati ai sensi di legge, il problema più rilevante è un altro: condizionare alla certificazione Covid-19 l’accesso a luoghi e servizi penalizzerebbe chi, senza colpa, è ancora in attesa di essere vaccinato rispetto a chi abbia già potuto fruire della somministrazione. Il costo del tampone, infatti, non è irrilevante.
Insomma, la previsione di una qualche “obbligatorietà” è possibile, ma necessita di un adeguato bilanciamento di diritti. In ogni caso, prima di muoversi sulla scia della Francia, servirebbe subordinare l’efficacia del “green pass” alla seconda dose di vaccino, per un’effettiva tutela dalla variante Delta, nonché fare ordine nella relativa disciplina.
Il puzzle della disciplina
Nel maggio scorso, un decreto-legge ha disposto che la certificazione Covid-19 sia valida dopo 15 giorni dalla prima dose e fino a nove mesi dopo la seconda (d.l. n. 65/2021), innovando rispetto al decreto che aveva introdotto la certificazione stessa ove, invece, si indicavano due dosi (d.l. n. 52/2021).
Il “green pass”, oltre che per l’entrata nelle residenze per anziani, è prescritto per partecipare a matrimoni, nonché a fiere, convegni ed eventi similari. Sin dall’inizio era stato previsto che il certificato nazionale sarebbe stato sostituito da quello introdotto dal Regolamento Ue «per agevolare la libera circolazione all'interno dell'Unione europea». E così è stato, dal 1° luglio scorso.
Il decreto citato prescrive il rilascio della certificazione dopo la prima dose di vaccino, come visto. Ma per entrare in Italia, a italiani e stranieri, è richiesto il “green pass” attestante il ciclo completo di vaccinazione. La differenza non dipende dal Regolamento Ue, che lascia liberi gli Stati di chiedere una o due dosi a seconda della propria politica sanitaria, ma da un’ordinanza del Ministero della Salute del 18 giugno scorso: chi fa ingresso in Italia (da Stati di cui all'elenco C) ha l’obbligo di presentare la certificazione verde da cui risulti il completamento del ciclo vaccinale da almeno 14 giorni (o la guarigione da Covid-19 oppure un tampone negativo nelle 48 ore precedenti). Non tutti lo sanno.
Dunque, la disciplina del “green pass” per uso interno è nei decreti-legge, e prevede una dose; quella a uso viaggi è nell’ordinanza ministeriale, e prevede due dosi. Un’unica fonte normativa, accompagnata da una puntuale comunicazione, avrebbe giovato alla chiarezza.
I concorsi pubblici
Le regole sono ancora diverse per i concorsi pubblici. Il relativo protocollo, adottato nell’aprile scorso dal Dipartimento della Funzione Pubblica a seguito di parere del Cts, ha disciplinato lo svolgimento in presenza delle prove concorsuali. Si prevede, per i candidati e il personale addetto, l'obbligo di presentazione del referto negativo relativo a un tampone effettuato non oltre le 48 ore antecedenti.
Ultimamente vi sono state alcune deroghe a questa previsione. Per esempio, nel concorso per l’accesso in magistratura, si esenta dall’obbligo di tampone chi esibisca «certificazione di somministrazione di una dose di vaccino avvenuta almeno quindici giorni prima rispetto alla data di accesso all’area concorsuale, ovvero certificazione di avvenuto completamento dell’intero processo di vaccinazione». Invece, nel concorso ordinario per le discipline scientifiche STEM, l’esenzione dal tampone è stata prevista solo per chi abbia completato il ciclo vaccinale.
Sarebbe bene che il Cts si esprimesse nuovamente sulla necessità o meno di tampone negativo in questi casi. Sul pass vaccinale serve evitare ulteriore confusione.
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