Dopo due anni di pandemia quello che succede, al nostro corpo, a livello fisico, quando si contrae il Covid, lo sappiamo. Pletore di medici, scienziati, virologi, influencer, e anche vicini di casa, ce lo hanno spiegato. Ma cosa succede, a livello burocratico?
Quando cerchi informazioni da fonti istituzionali sui passaggi che intercorrono tra la prima positività al Covid e la guarigione, ti viene raccontato un mondo fatto di meccanismi automatici, che si attivano per volontà di efficienti unicorni alati che ti traghetteranno serenamente attraverso cinque passaggi: il tampone positivo, il messaggio di inizio isolamento, il tampone negativo, il fine isolamento, e il nuovo green pass da guarigione, il sacro graal che ti consente il ritorno alla vita normale. Ma va davvero così?
Attese e silenzi
Un paio di mesi fa mi sveglio con un forte mal di gola. Non essendo ancora iniziato Sanremo, e quindi non potendo imputare la cosa alle sgolate delle serate del Festival, vado a fare un tampone. Positivo. Mi chiudo in casa e mi metto a letto, in fiduciosa attesa dello step numero 1: il messaggio che mi comunica la positività e l’inizio dell’isolamento. Passano i giorni, la febbre avanza, ma il messaggio non arriva.
Inizio a chiamare l’Ats, l’agenzia di tutela della salute, quella entità mitologica metà funzionario delle poste con la faccia di Crisanti, metà professore di chimica delle medie. Scopro che è più facile parlare con Sergio Mattarella che con un operatore dell’Ats. La lista di attesa dura infinite ore. Ma io non mollo, concentrata come la campionessa italiana di curling, con la stessa voglia di vincere. Appena arriva il mio turno la linea cade di colpo.
Questo si ripete per cinque giorni: inizio a sospettare di ritrovarmi in un film di Christopher Nolan, invischiata in uno strano slittamento spazio-temporale. Al sesto giorno riesco a parlare con un operatore, il quale mi dice che devo, semplicemente, aspettare. Il film di Nolan diventa improvvisamente un film di Ermanno Olmi. Attese infinite, lunghi silenzi. Dopo 15 giorni vado a fare un nuovo tampone: negativo.
Con chi parlo
Dovrebbe arrivare il certificato di fine isolamento, e il green pass nuovo. Passano cinque giorni: neanche l’ombra. Invio email a qualunque indirizzo riesca a recuperare: allego la mia richiesta, i miei dati, i miei tamponi, e tra le righe includo imprecazioni in tutte le lingue conosciute. Dopo una settimana, ancora nessuno mi risponde.
Quando ormai ero rassegnata a trascorrere la mia intera esistenza tra le mura di casa, riesco a parlare con una gentilissima signorina di Ats che mi dice: «Guardi, per questo problema deve parlare con il ministero della Salute».
Chiamo il ministero della Salute e una altrettanto gentile signorina mi dice: «Guardi, per questo problema deve parlare con Ats». Non siamo né in un film di Nolan, né in uno di Ermanno Olmi, è palesemente il secondo tragico Fantozzi.
Non esisto
Dopo altri cinque giorni, riesco a parlare con un’anima buona che al posto di dirmi «deve aspettare» o «deve parlare con qualcun altro» fa qualcosa. Questo angelo raccoglie tutti i miei dati, e pronuncia la fatidica frase «mi faccia controllare, ci penso io». Quella combinazione magica di parole ti fa credere che ora tutto si risolverà. Ma la persona di buon cuore mi dice: «Signorina, ma Lei non esiste». Rimango interdetta. E soprattutto: ci credo.
Ecco perché nessuno mi parlava, ecco perché nessuno rispondeva alle mie mail, ecco perché non mi arriva nessun green pass: io non esisto. Come ho fatto a non accorgermene prima? Eppure, gli indizi c’erano tutti.
Sesto senso
La signorina dall’altro lato del telefono si affretta a spiegare: “Intendevo che non esiste nel nostro sistema, non è stata mai inserita”, e cerca di spiegarmi come risolvere il problema inviando un’altra decina di mail a cui dovranno seguire un’altra decina di telefonate.
Oramai ero come il protagonista de Il sesto senso che parla con la gente ma quella non gli risponde perché lui è un fantasma e non lo sa. Ho capito che il vero e unico scopo della meravigliosa burocrazia italiana è questo: farti capire che tu non esisti. Bastava dirlo subito.
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