Dopo trentacinque giorni di conflitto in Ucraina, il dibattito mediatico si sta concentrando sul fatto che oramai il presidente russo, Vladimir Putin, è in una situazione di estrema difficoltà politica e militare. «Putin è all’angolo» e «non può restare al potere», come ha detto il presidente americano Joe Biden.
Parole che hanno acceso la discussione sull’eventualità di un “regime change” e di “trame di palazzo” per destituire il presidente russo. Ci sono elementi concreti per ipotizzare la “fine dello Zar”?
Putin ha ancora consenso. I recenti dati forniti dall’Istituto VTsIOM attribuiscono a Putin un consenso pari a 80,6 punti percentuali con un aumento di sette punti nell’ultimo mese e di dodici rispetto a quattro mesi fa. La propaganda sta alimentando sentimenti antiamericani nell’opinione pubblica: la “guerra delle sanzioni” è ritenuta l’ennesima prova di un attacco degli Stati Uniti alla Russia.
Improbabile ora una rivoluzione dal basso. Le proteste sono state soffocate con politiche sempre più repressive per le quali i dissidenti rischiano sino a quindici anni di carcere o di essere etichettati con la lettera “Z” con tutte le implicazioni del caso.
L’economia regge le sanzioni. Il Pil, secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, dovrebbe contrarsi di 8,5 punti nel 2022 ma al momento il rischio del default sul debito sembra allontanato grazie a politiche che hanno ammortizzato gli effetti del primo pacchetto di sanzioni: il rublo sta faticosamente recuperando, il Cremlino contrattacca con la richiesta di pagare il gas in rubli e ha avviato transazioni in yuan cinese.
C’è ancora lealtà nelle fazioni. La fuga di Anatolij Čubajs, ex delfino di Boris El’cin, è stata, interpretata come una “crepa nel Cremlino”, ma non è mai stato esponente del “giardino d’oro” di Putin e il suo ruolo politico come mediatore con l’Occidente avrebbe perso significato.
Putin si è dotato nel tempo di una squadra di sicurezza per la sua incolumità personale e, da quando è iniziato il conflitto, ha licenziato oltre 1200 persone dell’amministrazione presidenziale. I segnali sono chiari: chi è contro la decisione del presidente, è il traditore della Russia, pronto a vendersi ai valori occidentali.
Chi dissente ha due alternative: fuggire o il carcere. E gli oligarchi, che hanno già trovato una via di fuga dei loro beni di lusso in Arabia Saudita, non hanno, al momento, il sostegno delle due fazioni principali – apparato militare e di sicurezza - per incidere sulla volontà del presidente.
Come presentare la “sconfitta”. Le difficoltà militari riscontrate nel conflitto possono “macchiare” la reputazione russa all’estero, ma Putin può facilmente presentarla come una vittoria perché l’esercito russo ha fermato il “genocidio” del Donbass e concluso le fasi di denazificazione e demilitirizzazione.
La guerra prosegue: è bene non farsi troppe illusioni.
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