Dopo un’interrogazione parlamentare, alcune petizioni e una campagna di stampa d’area, il ministero ha spedito un’ispezione nel centro fiorentino all’avanguardia sulla disforia di genere. Uno studio del Journal Of Adolescent Health riconosce gli ottimi risultati psicosociali del metodo: consente alle giovani persone di genere diverso di evitare disturbi dell’ansia, depressione, stress e pensieri suicidi
Al centro del mirino dell’ultra destra sembra esserci attualmente l’azienda ospedaliero-universitaria Careggi, centro italiano all’avanguardia sui percorsi di affermazione di genere. Dopo un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Maurizio Gasparri, sono seguite una petizione dell’associazione anti scelta e antiabortista denominata “Pro Vita” e alcuni articoli di testate di destra, delineando quella che appare come una linea strategica di attacco ai – ben pochi – diritti delle persone trans* in Italia.
L’attacco viene rivolto in particolare al servizio del Careggi per adolescenti e persone piccole trans, che ha dato seguito a un’ispezione al centro. I punti chiave attorno cui si impernia la strategia di attacco sono due: i bloccanti ormonali che, si legge, verrebbero somministrati a non ben definiti “bambini” (si cita l’intervento di Gasparri e i materiali comunicativi che ne hanno fatto seguito) e la presunta assenza di supporto psicologico alle persone trans* più giovani. Due punti che potrebbero essere sciolti leggendo le numerose pubblicazioni scientifiche in merito.
Infatti, è recente il nuovo studio sui bloccanti della pubertà – i farmaci cioè che consentono di “mettere in pausa” lo sviluppo puberale – pubblicato sul prestigioso Journal of Adolescent Health a dicembre 2023.
Le ricerche
Molti studi precedenti avevano dimostrato l’impatto positivo dell’uso dei bloccanti per persone adolescenti, questa ricerca in particolare ha analizzato gli esiti psicosociali dai risultati ottimi. La somministrazione dei bloccanti in adolescenza – e non nell’infanzia come strumentalmente viene più volte fatto intendere utilizzando la parola “bambini” – può consentire alle giovani persone di genere diverso di evitare lo sviluppo di disturbi dell’ansia, depressione, stress, problemi in totale, difficoltà internalizzanti e pensieri suicidari, come si legge anche sul sito di GenderLens, punto di riferimento più importante in Italia per le famiglie di persone adolescenti e piccole di genere non normativo.
Purtroppo i rischi in termini di salute mentale per le persone trans* sono alti e rimarcati da più studi, che evidenziano gli effetti della mancata affermazione sulla salute mentale; specialmente in un paese come l’Italia dove il diritto alla salute – tra gli altri – delle persone trans* è quasi pari a zero, con pesanti buchi normativi che ci lasciano nell’impossibilità di vivere con dignità e accedere a cure basilari.
L’incuranza amministrativa per la salute T* è ciò che rende la triptorelina – il bloccante al centro delle attenzioni di Gasparri e di Mara Campitiello, capa della segreteria tecnica del ministero – un farmaco off label, cioè un farmaco pensato inizialmente per altri scopi e adoperato senza una completa conoscenza dell’impatto sulla salute delle persone T*.
Purtroppo questo è vero per molti dei trattamenti che le persone trans* scelgono di perseguire fornendo dati per far avanzare la ricerca, per colmare le lacune di una medicina che ha pazienti privilegiati e subalterni, su cui non si investe in ricerca e studio, utilizzando farmaci non pensati per loro. Del resto è stato così anche per la pillola anticoncezionale, nata a partire da un farmaco iniettabile somministrato a chi aveva gravidanze difficili per evitare un aborto spontaneo.
Il risultato logico dovrebbe essere investire in ricerca sulla salute delle persone gender diverse, sullo sviluppo di nuovi farmaci per i percorsi di affermazione di genere, non chiedere alle regioni – come sta accadendo – di stilare liste con la segnalazione dei casi di percorsi di affermazione di genere in persone giovani che stanno seguendo. Queste liste in che modo vengono redatte? E chi vi accede? Con quale trattamento dei dati?
Questo genere di liste e di controllo rischia di mettere a rischio la salute delle persone trans* minacciando il rapporto fiduciario medico-paziente. Senza contare che i bloccanti vengono appunto forniti alle persone preadolescenti e adolescenti, in modo tale che possano decidere in autodeterminazione e con più calma se e quando intraprendere un percorso di affermazione di genere, rallentando, nel frattempo, l’impatto della pubertà sul corpo.
Nelle dichiarazioni di Campitiello non traspare attenzione alla salute e al benessere delle persone trans*, quanto la preoccupazione politica di specificare che Fratelli d’Italia si è mosso in merito prima di Forza Italia – che fa seguito all’ultra destra in questa campagna politica – specificando che «avevamo già chiesto al Comitato nazionale di bioetica, che cinque anni fa si è pronunciato sull’uso della triptorelina, di rivalutare l’approccio all’uso del farmaco. È stata inoltre chiesta all’Aifa una nuova valutazione sul farmaco». Insomma, sembra esserci molto zelo e numerose richieste di riesame su temi già dibattuti.
Il secondo punto di fuoco di questa campagna di attacco alla comunità T* (e specialmente alle persone piccole) si muove in continuità con un uso di parole chiave atte ad allarmare l’opinione pubblica: infatti si asserisce che non ci sia supporto psicologico alle persone giovani che si rivolgono al Careggi.
Le accuse strumentali
Già l’11 gennaio scorso il Careggi stesso ha inviato al ministero una relazione in cui evidenzia che l’assistenza psicologica e psichiatrica è assicurata a tutti i pazienti. Non è invece obbligatoria – sebbene avvengano numerosi incontri con professionisti della salute anche volti a informare utenti e le loro famiglie – cosa ben diversa, in linea con un approccio antipsichiatrizzante e depatologizzante della transidentità: le persone trans* non sono malate e dunque i trattamenti e i percorsi dedicati dovrebbero prescindere da pratiche che trattano la loro identità come una malattia attraverso diagnosi mediche o il ricorso obbligatorio a psichiatrizzazione.
Un concetto forse ancora faticoso nel nostro paese, dove fino al 2017 la transidentità era ritenuta ancora una malattia psichiatrica (Oms) e per accedere alla rettifica anagrafica dei documenti era obbligatoria la sterilizzazione delle persone trans* tramite isterectomia o vaginoplastica.
Tuttora la diagnosi di disforia di genere o di incongruenza di genere è necessaria: nel nostro paese per accedere al diritto alla salute e all’autodeterminazione dobbiamo avere una diagnosi medica che attesti che siamo malati, ma non troppo da autodeterminarci. Proprio per questo parte forse l’attacco al Careggi: il centro ospedaliero-universitario toscano è quello, tra tutti, che tratta le persone trans* in modo più umano, senza iperpatologizzarle e riconoscendone invece autodeterminazione e dignità con protocolli che seguono linee guida internazionali.
A far partire questa campagna di attacco è stata una lettera inviata dalla Società psicoanalitica italiana, respinta pubblicamente da numerose società scientifiche quali Genere, identità e salute (Sigis), Endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp), Andrologia e medicina della sessualità (Siams), Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia), Osservatorio nazionale sull’identità di genere (Onig) con un «Comunicato intersocietario indirizzato alla presidenza del Consiglio dei ministri» con tanto di bibliografia scientifica allegata.
Forse si delinea un asse strategico di un governo che vuole segnare un’azione attiva erodendo i pochi diritti civili e i diritti alla salute delle cosiddette minoranze con attacchi vessatori e disumani: dall’ascolto obbligatorio della pulsazione – definito invece “battito” – del materiale organico per l’interruzione volontaria di gravidanza all’impugnazione del riconoscimento della stepchild adoption per le coppie omogenitoriali, fino a quest’ultimo attacco contro uno dei centri migliori in Italia per l’affermazione di genere. Il tutto sorretto da una campagna di comunicazione atta a influenzare l’opinione pubblica attraverso parole chiave forti: non è un caso che i soggetti della costruzione di linguaggio siano i fantomatici “bambini” utilizzati strumentalmente. Le stesse persone giovani inquadrate come soggetti passivi “da proteggere” e a cui si nega possibilità di autodeterminazione e di una vita più serena.
Non ci resta che osservare come continueranno le indagini al Careggi e quali evidenze porteranno, sperando che tutta la società civile non chiuda ancora gli occhi quando si parla di persone trans*.
© Riproduzione riservata