- È da brividi: sei covi in poche centinaia di metri quadrati a Campobello di Mazara. Tutti in superficie e non sottoterra come i cunicoli della 'ndrangheta di Platì sull'Aspromonte.
- Qualcuno ha avuto persino la sfacciataggine di accostare l’arresto di Matteo con quello di Totò Riina, avvenuto esattamente trent’anni fa. Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti.
- Il Ros del 1993 e il Ros del 2023 in comune hanno solo il nome.
Ma quanti covi aveva Matteo Messina Denaro? Fra rifugi e “case nella sua disponibilità”, e solo a Campobello di Mazara, se ne contano già sei. Sicuramente ne individueranno altri e probabilmente troveranno anche il covo giusto, quello con dentro un tesoro di carte e non solo pillole di Viagra o profumi.
Comunque è da brividi: sei ripari in poche centinaia di metri quadrati in un piccolo paese, in confronto a popolazione ed estensione del territorio, sono come 600 a Palermo. E poi tutti alla luce del sole. In una strada dietro l’altra, in superficie. E non sottoterra come i cunicoli della ‘ndrangheta di Platì sull’Aspromonte che servivano alla fuga dei ricercati, e non come nel ventre di Ganci sulle Madonie che era la tana dei briganti ai quali dava la caccia nell’èra fascista il prefetto Cesare Mori.
Tutto alla luce del sole
No, a Campobello di Mazara il covo va di moda con vista piazza, a portata di passante, del vicino, del vigile urbano, del messo comunale, del carabiniere della stazione. Senza paura.
Questa storia dei covi di Matteo Messina Denaro e la cronaca delle perquisizioni a catena ordinate negli ultimi giorni, ci permettono di fare un po’ di chiarezza su ciò che è stato detto e scritto e anche di sconclusionato intorno alla cattura del boss di Castelvetrano.
Qualcuno ha avuto persino la sfacciataggine di accostare l’arresto di Matteo con quello di Totò Riina avvenuto esattamente trent’anni fa, il 15 gennaio del 1993. Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti.
Al tempo del fermo del capo dei capi di Cosa nostra non solo i carabinieri non entrarono nel covo per una “sciagurata” (definizione nelle motivazioni della sentenza d’Appello del processo sulla cosiddetta trattativa stato-mafia) decisione del colonnello Mario Mori e del capitano "Ultimo” alias Sergio Di Caprio, ma neanche la sorvegliarono quella villa dove Totò Riina viveva con la moglie Ninetta e i quattro figli.
Di più: appena cinque ore dopo la cattura abbandonarono la posizione e sospesero la sorveglianza della villa senza avvertire i magistrati. L’esatto contrario di come sono andate le cose a Campobello. Procedere secondo legge e buon senso.
Il “metodo Dalla Chiesa”
Ma c’è anche dell’altro che vale la pena di riprendere per non farsi stordire dalle parole, non farsi confondere da una tempesta di luoghi comuni che si è scatenata dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
Si è tanto parlato di “metodo Dalla Chiesa”, in riferimento agli innovativi sistemi d’indagine introdotti dal famoso generale sia nella lotta al terrorismo che sul fronte della mafia. Il punto è proprio questo: il "metodo Dalla Chiesa” viene riconosciuto con disinvoltura per entrambe le due catture, così diverse, quella di Totò Riina del 1993 e quella di Matteo Messina Denaro del 2023.
Si rimescolano epoche, si sovrappongono vicende lontane, si mischiano reparti operativi che in comune hanno solo il nome: Ros. Per caratteristiche e soprattutto per obiettivi, il raggruppamento speciale del generale Mario Mori era ben altro rispetto al raggruppamento speciale del generale Pasquale Angelosanto. Qual’è, allora, il vero "metodo Dalla Chiesa”, quello del covo ignorato o quello del covo smantellato?
Trent’anni fa eravamo fra le due stragi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e il Ros dialogò con i boss «a fin di bene» (sempre le motivazioni del processo sulla trattativa) per fermare le bombe. Una settimana fa il Ros dei carabinieri e i procuratori di Palermo non hanno esitato un momento a violare i misteriosi santuari di Campobello di Mazara con vista piazza.
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