- Michele Santoro ha raccolto la testimonianza di Maurizio Avola, un killer della mafia catanese, sedicente autore di ottanta omicidi, che collabora con la giustizia dal 1994 e fin da subito considerato mendace e fasullo.
- Avola dichiara, a quasi trent’anni dal delitto: che ha partecipato fisicamente alla strage di via D’Amelio (domenica 19 luglio 1992, uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta); che è stato lui a preparare la macchina esplosiva…
- Non c’è una sola cosa di quelle dichiarate da Avola che possa avere un ancorché minimo aggancio con la realtà.
Una brutta storia sta avvenendo sotto i nostri occhi; grottesca e molto grave insieme. Mercoledì 28 aprile, su La7, seguito da un milione di telespettatori, è andato in onda Speciale mafia, alla ricerca della verità, condotto da Enrico Mentana, ospiti Fiammetta Borsellino e Andrea Purgatori, per lanciare il nuovo libro di Michele Santoro Nient’altro che la verità (Marsilio). E che verità! Santoro ha raccolto la testimonianza di Maurizio Avola, un killer della mafia catanese, sedicente autore di ottanta omicidi, che collabora con la giustizia dal 1994 e fin da subito considerato mendace e fasullo, tanto da rifiutargli il programma di protezione che si garantisce ai “pentiti” che tengono buona condotta.
Ebbene: Avola (che nel programma si è visto con il volto oscurato) dichiara, a quasi trent’anni dal delitto: che ha partecipato fisicamente alla strage di via D’Amelio (domenica 19 luglio 1992, uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta); che è stato lui a preparare la macchina esplosiva, fornendo dettagli sui detonatori; che era in via D’Amelio, in divisa da poliziotto, con il compito di segnalare l’arrivo del convoglio al boss mafioso Giuseppe Graviano perché azionasse il telecomando; che del commando faceva parte anche il famoso Matteo Messina Denaro; che Paolo Borsellino, che arrivò da solo, avanguardia del convoglio che sopraggiunse a sirene spiegate, aprì lo sportello della macchina che aveva parcheggiato nel parcheggio a spina di pesce in mezzo a via D’Amelio; che lui, Avola incrociò il suo sguardo, che aveva 12 secondi per mettersi in salvo raggiungendo via Autonomia Siciliana….
Tutte bugie
Non c’è una sola cosa di quelle dichiarate da Avola che possa avere un ancorché minimo aggancio con la realtà. Borsellino non arrivò da solo, il convoglio aveva le sirene spente, è impossibile arrivare in via Autonomia Siciliana in dodici secondi (in divisa da poliziotto, nel caldo del 19 luglio, senza essere visto da nessuno). Tutto avrebbe dovuto apparire, fin da subito, talmente grossolano da non essere tenuto in considerazione.
La mattina dopo la trasmissione televisiva, il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, ha compiuto un gesto inusuale, pubblicando un comunicato in cui si dice che Avola aveva già provato a raccontare la sua verità, addirittura nel 2017, e che i magistrati avevano cercato riscontri. Non ce n’era uno solo, e peraltro Avola in quei giorni non era a Palermo, ma a Catania con un braccio ingessato. Paci ha poi messo in guardia dagli effetti negativi dell’operazione condotta da Michele Santoro, sulle indagini tutt’ora in corso su quel delitto di quasi trent’anni fa. In pratica, si sta parlando di un depistaggio (che è un reato).
I precedenti
E’ ovvio che Avola non è mai stato in via D’Amelio, che qualcuno lo ha imbeccato, che ha favorito i suoi colloqui in carcere; il detenuto ha provato a vendere la sua mercanzia, senza successo, fino a quando un famoso giornalista l’ha presa come l’ha presentata come verità. Non è la prima volta, nell’affaire Borsellino.
Anche trent’anni fa, subito dopo il delitto, la polizia, con l’appoggio dei vertici della magistratura e del governo di allora, trovò la verità. Era stato un tale Vincenzo Scarantino, semianalfabeta di un povero quartiere di Palermo, che aveva fatto tutto da solo, su ordine di Riina. Forse qualcuno si ricorderà: ci credettero tutti: magistrati, poliziotti, governo, giornalisti…. per sedici anni, fino a quando venne reso pubblico un altro pentito, Gaspare Spatuzza, che disse «sono stato io». Trionfo della giustizia su un errore giudiziario?
Sarebbe stato un happy end, ma non lo era mica tanto, perché si scoprì che tutto era noto fin da subito e che tutta l’operazione Scarantino era stata un colossale “depistaggio di Stato”: ci fu una pervicace protezione degli autori, dei mandanti e delle ragioni del delitto Borsellino.
Ancora adesso, e con fatica, si sta cercando di ricostruire come questo sia potuto succedere e che cosa sia cercato di proteggere. E invece ti arriva, in televisione come alla cerimonia degli Oscar: «let me introduce now Maurizio Avola…» certificato dal più famoso giornalista antimafia italiano, uno che Cosa Nostra voleva morto, e che approfitta della serata per dichiarare la sua verità: fu Cosa Nostra, e solo lei; non ci furono servizi segreti, non ci furono depistaggi; insomma, Maurizio Avola è il nuovo Scarantino.
Ce n’era bisogno, a trent’anni da delitto? Evidentemente sì, nulla avviene per caso. L’unica cosa buona è che tutto ciò non interessa più nessuno; Santoro non ha dato notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, semplicemente perché l’ordine pubblico è da tempo imperturbabile.
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