- Nel 2016 Marina Abramović raccontò di aver abortito tre volte, volontariamente, perché il lavoro di artista non lascia spazio alla maternità.
- Abramović parlò non tanto del tempo necessario per crescere un figlio, quanto dell’energia presente nel corpo: il suo corpo ha energie limitate, disse, e se lei fosse diventata madre avrebbe dovuto indirizzare parte di queste energie altrove.
- I figli sono un generatore di responsabilità, oltre che un investimento emotivo, ma il discorso vale anche per altri tipi di vicissitudini esistenziali, vale anche per chi non è genitore ma ha legami e obblighi. In questo caso la creatività vive negli spazi ricavati con fatica.
Nel 2016 Marina Abramović raccontò di aver abortito tre volte, volontariamente, perché il lavoro di artista non lascia spazio alla maternità. “Avere figli sarebbe stato un disastro per il mio lavoro”. Questa dichiarazione, come ci si può aspettare, non piacque a tutti, ma non è il motivo per cui mi colpì.
Abramović parlò non tanto del tempo necessario per crescere un figlio, quanto dell’energia presente nel corpo: il suo corpo ha energie limitate, disse, e se lei fosse diventata madre avrebbe dovuto indirizzare parte di queste energie altrove.
Aggiunse poi che l’amore, la famiglia e i bambini sono la ragione per cui le donne non hanno lo stesso successo degli uomini nel mondo dell’arte. Il discorso sottinteso è che gli uomini non sono toccati da questo problema, anche quando fanno figli, perché non sono o fanno in modo di non essere investiti dalla stessa quantità di impegno.
Abramović è un esempio alto e speciale di persona creativa. È un’artista di fama internazionale la cui produzione è anche legata al corpo, alla presenza. La famosa performance “The artist is present”, per esempio, vede lei stessa seduta al tavolo di un museo per molte ore al giorno, per mesi.
I visitatori possono sederle di fronte e guardarla negli occhi. Questo tipo di performance è difficile da fare se hai figli da seguire. È anche un esercizio sottile e profondo nel campo delle emozioni.
La creatività è una potenzialità dell’essere umano. Non tutti sono artisti, ma molti conoscono il bisogno di abitare lo spazio che sta al di fuori della quotidianità, degli affetti e del lavoro inteso come necessità.
Lo spazio creativo non è mai fatto di solo intelletto, perché qualcosa lo lega alla materia, alla necessità di dare alla luce un elemento che esista al di fuori di noi. Questo richiede energia, se vogliamo seguire l’impostazione di Abramović, e richiede tempo, un tempo vuoto, di dimensioni variabili, silenzioso, in apparenza ozioso.
Questione di tempo?
Nel mondo della scrittura, al quale appartengo, non è infrequente sentire le scrittrici e gli scrittori lamentarsi di una mancanza di tempo, e simultaneamente lamentarsi della propria inconcludenza. Il tempo da dedicare alla scrittura sembra non essere mai abbastanza, perché comprende quei momenti di apparente inattività (guardare fuori dalla finestra) che però sono essenziali. Il tempo della scrittura è capace, se gli viene data questa possibilità, di occupare l’intera esistenza.
Questo non accade spesso, perché chi scrive, figli o no, vive nel mondo reale e incontra limiti di relazione, economici e di salute. Ma se esistesse la possibilità, il tempo della scrittura diventerebbe il solo tempo conosciuto da chi scrive.
A questo punto viene da chiedersi se sia una condizione desiderabile. La libertà assoluta di dedicarsi interamente alla creatività. Una missione. Immaginate una scrittrice dotata di qualche talento, e chiedetevi se in queste condizioni ideali diventerebbe molto produttiva oppure annegherebbe in una disperata fuga dall’inconcludenza. È la solita trappola della libertà. Alcuni la sanno gestire, altri osservano la libertà improvvisa come si osserva un burrone. Non è solo una questione di disciplina.
Al lato opposto c’è la vita piena di responsabilità. I figli sono un generatore di responsabilità, oltre che un investimento emotivo, ma il discorso vale anche per altri tipi di vicissitudini esistenziali, vale anche per chi non è genitore ma ha legami e obblighi. In questo caso la creatività vive negli spazi ricavati con fatica.
Si annida, si presenta di colpo nei luoghi e nei momenti meno opportuni, diventa un appunto mentale che sarà ripreso appena possibile. Col passare del tempo si crea un rapporto di convivenza fra la creatività e i figli (o le altre vicissitudini esistenziali con un impatto equivalente). La convivenza può trasformarsi in una dipendenza, nel senso che la creatività sente a un certo punto di dipendere dalla presenza dei vincoli di energia e di tempo.
La creatività si è abituata a vivere e a emergere quasi di nascosto, non solo, si è affezionata a questa norma operativa.
Cosa è meglio? Ognuno di noi può solo osservare le cose per quello che sono. Non potremo mai sapere come sarebbe stato essere privi di limiti.
Non potremo mai sapere se la nostra produzione artistica, piccola o grande, rilevante per gli altri o solo per noi, sarebbe stata migliore, più ricca. Ma del resto chi ha la piena libertà non potrà mai sapere come sarebbe stato operare all’interno di un sistema dove invece esistono dei vincoli.
I vincoli producono esplosioni improvvise, hanno un ruolo nel campo dell’invenzione, e la creatività in questo senso resta un mistero.
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