- Possiamo pensare di essere amici dei figli anche quando ci viene l’idea di condividere con loro le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, senza filtri.
- Quando trattiamo i figli da piccoli adulti, nei casi estremi da piccoli psicoterapeuti.
- È un’illusione: i nostri figli non si meritano una simile pesantezza, e conosceranno solo lo stress, non la costruzione di un’amicizia.
“Il genitore” non è un’identità: è un abito. Non un vestito scelto per farsi belli o per comodità, e neppure una maschera. È paragonabile, piuttosto, alla tenuta che distingue certe professioni. Il camice del medico, la divisa del poliziotto. La corona di re Carlo (scherzo, o forse no, vediamo).
Molte persone troveranno strana questa idea, e mi assicureranno che essere genitore è invece un’identità: “Io sono Letizia, sono una donna, sono una madre”. Ma questa visione è imprecisa.
Spontanei o no
Un genitore, quando sceglie come comportarsi, non può avere l’assoluta naturalezza di chi agisca all’interno della propria identità.
Sì, è vero, ci sono dei gesti spontanei, c’è l’istinto. Ma non esiste una piena disinvoltura, perché quando siamo genitori ci troviamo in un abito: rappresentiamo qualcosa che va oltre la nostra persona, prendiamo delle decisioni a volte faticose, innaturali e ragionate, e il nostro obiettivo non è fare quello che ci pare, ma quello che è giusto nell’ambito dell’oggetto misterioso che è l’educazione.
Questa conclusione l’ho raggiunta mentre cercavo di dare una risposta a una domanda che appare classica: i genitori possono essere amici dei figli?
In realtà non saprei dire da quanto tempo esista questa domanda.
Penso a quei film e telefilm americani degli anni Ottanta con la mania dei genitori amici dei figli.
Noi, allora bambini, guardavamo queste madri e questi padri televisivi, li confrontavamo con i nostri (che erano figure autorevoli, premurose ma autorevoli, non amici), e ci chiedevamo come mai anche noi non avessimo genitori simpatici e malleabili.
Amici dei figli
Oggi siamo cresciuti, e sia che abbiamo figli, sia che non ne abbiamo, notiamo come essere amici dei figli non rappresenti più solo un vezzo da telefilm, ma sia diventata una tentazione molto forte.
In un mondo opaco, in cui qualsiasi adolescente (e qualsiasi adulto) passa molto tempo a guardare uno schermo telefonico minuscolo, la scelta di provare a essere amici dei figli, mettendoci al loro livello, nella speranza che così condividano con noi la loro vita, è comprensibile.
Sembra l’unico modo per tenerli vicini e proteggerli dall’ignoto. Ma cosa si intende per amicizia fra genitori e figli?
Possiamo pensare di essere amici dei figli quando diamo la sensazione di non fare “il capo”.
Parlo insomma di quando siamo permissivi, e rinunciamo un po’ alle regole, nel tentativo di avvicinarci ai figli, di essere come loro e dunque di conquistare la loro amicizia.
Il problema arriva quando iniziamo a sembrare quei ragazzini che subiscono la pressione sociale e cercano di vestirsi e di atteggiarsi in un certo modo, per ingraziarsi i compagni di scuola dominanti. Siamo sicuri che ingraziarsi i figli sia una buona idea?
Certo siamo stanchi, far rispettare le regole è faticoso, e sembrare simpatici è attraente. Perché mai dovremmo instaurare un regime di leggi e di sorveglianza?
Ma anche là dove si riconosca che più della sorveglianza ci interessa costruire la fiducia, resta da dire che “fiducia” non significa “va bene tutto”, ma significa “so che le cose andranno bene perché il nostro rapporto mi ha insegnato che ci ascoltiamo”. C’è un lavoro da fare dietro, insomma.
Con cautela
Possiamo pensare di essere amici dei figli anche quando ci viene l’idea di condividere con loro le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, senza filtri.
Quando trattiamo i figli da piccoli adulti, nei casi estremi da piccoli psicoterapeuti.
È un’illusione: i nostri figli non si meritano una simile pesantezza, e conosceranno solo lo stress, non la costruzione di un’amicizia.
Nella quinta stagione della serie televisiva The Crown (la serie sui reali inglesi) vediamo Lady Diana che cerca di confidarsi con suo figlio, il principe William, allora un ragazzino, e di coinvolgerlo nei suoi problemi emotivi.
Il ragazzino si ritrae, infastidito. Gli sceneggiatori hanno voluto dare questa sottolineatura. Non so se corrisponda alla verità storica, ma è interessante.
I figli sono persone con una testa, hanno pensieri, speranze e idee. E conoscono, magari neanche troppo superficialmente, il mondo e l’umanità.
Forse, su alcune cose, ne sanno pure più di noi. Possiamo dunque condividere con loro certe parti della nostra vita mentale. Ma con cautela: lo dovremmo fare solo se è utile a loro, se serve a far del bene a loro.
Non possiamo sfogarci come faremmo di fronte a un adulto. L’amicizia con i figli non è un rapporto fra pari, “oggi tu ascolti me perché ieri io ho ascoltato te”.
Il genitore è un amico che però ha delle responsabilità e una funzione, e deve perciò autolimitarsi. Deve rispettare l’abito che indossa.
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