- Si chiama “black out challenge” ed è una sfida folle su TikTok, l’app più frequentata dai ragazzini. È una prova di resistenza: l’obiettivo è di restare il più a lungo possibile senza respiro.
- Ieri una bimba di 10 anni è arrivata in condizioni gravissime all’ospedale di Palermo, dove ne è stata dichiarata la morte cerebrale. Il sospetto è che si sia lasciata suggestionare da quello che ha visto su TikTok: sarebbe morta cercando di partecipare alla sfida.
- In tutti questi casi le notizie si accompagnano allo stesso dibattito: quanto può essere pericolosa la tecnologia e quanto possono esserlo i social network?
Si chiama “black out challenge” ed è una sfida folle su TikTok, l’app più frequentata dai ragazzini. È una prova di resistenza: l’obiettivo è di restare il più a lungo possibile senza respiro. Ieri una bimba di 10 anni è arrivata in condizioni gravissime all’ospedale di Palermo, dove ne è stata dichiarata la morte cerebrale. Era stata ritrovata in bagno, cianotica, con la cintura dell’accappatoio legata al collo e al porta-asciugamani. La procura ha aperto due inchieste. Fra le ipotesi c’è quella dell’istigazione al suicidio, ancora contro ignoti. Il sospetto è che la bimba si sia lasciata suggestionare da quello che ha visto su TikTok: sarebbe morta cercando di partecipare alla sfida.
Il pericolo del web
La vicenda è inquietante e ricorda altre storie molto simili, come quella della “blue whale”: la balena blu, una sfida dell’orrore alimentata sul web e che porterebbe chi vi partecipa al suicidio. Nei mesi scorsi si è molto scritto di Jonathan Galindo, una sorta di versione sadica di Pippo, protagonista di un gioco social che, ancora una volta, porta alla morte. In entrambi i casi si è poi scoperto che non tutto quello che era stato raccontato era vero: molte vicende erano state collegate fra loro in maniera posticcia, come avviene per le leggende metropolitane.
In tutti questi casi, comunque, le notizie si accompagnano allo stesso dibattito: quanto può essere pericolosa la tecnologia e quanto possono esserlo i social network? In realtà la risposta non è semplice, perché il rischio forte è di generalizzare, di considerare tutto in senso negativo. Anche i social sono uno strumento, quello che fa davvero la differenza è il modo in cui sono utilizzati. Vietare ai propri figli l’utilizzo di TikTok, ad esempio, potrebbe essere una scelta sbagliata. Li costringerebbe a un isolamento virtuale, con grosse conseguenze reali.
Potrebbe avere più senso, invece, insegnare loro il modo migliore per utilizzarlo. Immaginare un’educazione digitale che divenga anche materia di insegnamento, come già avviene in alcune scuole.
Anche perché la rete è spesso capace di creare gli anticorpi ai suoi pericoli maggiori. Un anno fa, sempre su TikTok, si è diffusa la “skullbreaker challenge”, con i ragazzi che si sfidavano a far cadere un compagno, con l’obiettivo di spaccargli la testa. La Croce rossa italiana ha deciso di utilizzare TikTok per spiegare le possibile conseguenze della sfida. Sempre più utenti, di ogni età, hanno iniziato a diffondere video sotto al nome “Stop skullbreaker challenge”. Nel giro di pochi giorni, partecipare a quella sfida non era più attraente. L’educazione digitale, in quel caso, aveva funzionato.
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