- L’inflazione ha un effetto depressivo sulle società governate dai regimi autoritari molto più di quanto si pensi.
- Il nazionalismo non aiuta davanti alla sfarinarsi dei salari e all’aumento dei prezzi.
- Mettere in circolo fake news o fare leva sul complottismo è inefficace per fermare l’ondata di rabbia sociale.
Inflazione e aumento dei prezzi stanno avendo un effetto depressivo sulle economie dei regimi sovranisti o populisti molto più che altrove.
Il motivo è semplice: in questo caso complottismo e ricerca del nemico non bastano a coprire le proprie responsabilità. La retorica sovrano-populista può servire (per qualche tempo) a mettere in dubbio l’efficacia dei vaccini o delle misure di distanziamento sociale oppure a far finta di scoprire congiure internazionali ecc.
Ma nulla può contro la diminuzione del potere di acquisto. Impossibile avvalersi delle fake news per celare l’inflazione. In questo caso la post verità non aiuta. Sono le democrazie avanzate che, pur con tutti i loro limiti, sanno reagire meglio a tale crisi così come alle conseguenze sociali della pandemia.
La ragione è che il sovranismo populista odierno si è appoggiato quasi totalmente sull’iperliberismo senza regole, facendo affidamento sui nuovi ceti medi emergenti. Così facendo ha messo da parte le politiche sociali ed ora non riesce ad uscirne.
Dal canto loro le democrazie dell’Europa occidentale hanno il welfare che, pur indebolito, rappresenta ancora l’arma migliore. Il populismo attuale somiglia poco a quello sociale di una volta: per questo ha potuto allearsi con il sovranismo ultranazionalista. Ma ora è in crisi di risposte.
Se ne ricordino i liberisti nostrani che criticano il reddito di cittadinanza come “norma populista” o sussidio: i paesi davvero governati dal populismo non l’hanno mai adottato, come si nota in America Latina ma anche in Turchia o in India.
Il presidente Lula usò formule di sussidio simili ma non certo Bolsonaro. Nemmeno l’Argentina, matrice di tutti i populismi, ci riesce. Si può certo riformare il reddito, si possono fare migliori controlli ma rimane che si tratta di uno schema di welfare che ammortizza la crisi economica.
Il presidente Erdogan si sforza di spiegare che tassi di interesse bassi possono soffocare l’inflazione eppure accade esattamente il contrario: la lira turca ha perso in un anno circa metà del suo valore e gli elettori se ne ricorderanno.
Oltre che ad Ankara, anche a Nuova Delhi si pensa di correre ai ripari cambiando spesso i governatori delle banche centrali così come Trump se la prendeva continuamente con la Federal Reserve.
La verità è che il sistema globale, a cui tutti partecipano, non si cambia a suon di propaganda nazionalista né sperando unicamente nel libero mercato: per frenare le peggiori conseguenze del ciclo economico attuale c’è bisogno di una presa d’atto comune e multilaterale.
In attesa che maturi tale consapevolezza internazionale, sono le democrazie avanzate ad avere la reazione più saggia: proteggere con il welfare il ceto medio e sostenere i ceti svantaggiati.
Non può durare all’infinito, ma intanto blocca le derive peggiori mentre i regimi sono sorpresi da proteste inattese.
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