- Per una scelta politica, la provincia di Trento a guida Lega ha deciso nei giorni scorsi di cambiare il modello del festival dell’Economia, iniziato nel 2006: via Tito Boeri e la casa editrice Laterza, avanti con Giulio Tremonti e il Sole 24 Ore.
- E’ una storia che finisce per assumere la rilevanza simbolica di un bivio simbolico tra due traiettorie, diverse e perfino opposte.
- La scelta è tra un modello di cultura “globalista”, come la chiamerebbe Tremonti, e una provinciale. Varie città si stanno candidando a ospitare il “vero” festival dell’Economia, a Trento resterà quello dell’economia di relazione.
Per una scelta politica, la provincia di Trento a guida Lega ha deciso nei giorni scorsi di cambiare il modello del festival dell’Economia, iniziato nel 2006: via Tito Boeri e la casa editrice Laterza, avanti con Giulio Tremonti e il Sole 24 Ore. Può sembrare una piccola storia, o perfino un sano ricambio, visto che sedici anni sono tanti per tutti e c’è chi saluterà sicuramente una ventata di aria diversa. Eppure, è una storia che racconta molto della classe dirigente italiana e finisce per assumere la rilevanza simbolica di un bivio simbolico tra due traiettorie, diverse e perfino opposte. Due modi diversi dell’élite di pensare sé stessa.
Uno è il modello Boeri-Laterza: in questi anni, il festival di Trento ha portato in Italia premi Nobel per l’economia e accademici dalle grandi università americane completamente sconosciuti al dibattito pubblico italiano, dove si continua a intervistare ossessivamente soltanto Joe Stiglitz ma si ignorano Michael Kremer, Daron Acemoglu, Paul Milgrom, o Gina Gopinath che invece sono stati ospiti del festival.
Lezione di umiltà
Negli anni, Tito Boeri e Giuseppe Laterza hanno portato ospiti dell’eccellenza economica mondiale, gente che perfino ad Harvard o al MIT viene ricevuta con tutti gli onori. L’effetto collaterale, non si sa se voluto ma sicuramente benefico, era di ridimensionare molto l’ego di quella fitta schiera di intellettuali italici da festival che si beano degli applausi in piazza ma che di rado o forse mai riescono a pubblicare sulle riviste accademiche che contano.
Partecipare al festival dell’Economia, insomma, era anche per i relatori italiani (e ancor più per noi giornalisti-moderatori) una sana lezione di umiltà. Capitava di intervistare un economista mai sentito prima e scoprire, dopo qualche mese, che aveva vinto il Nobel o che un suo nuovo paper aveva riscritto la nostra lettura della globalizzazione (un esempio su tutti: David Autor). Certo, Tito Boeri è perfettamente inserito nell’establishment italiano, ha fatto il presidente dell’Inps, scrive su Repubblica ma ha gestito il festival di Trento prima di tutto da economista.
Anche la gestione Boeri-Laterza ha ceduto a qualche compromesso con le regole di quel circo itinerante che sono i festival italiani: assieme ai grandi economisti con le loro slide c’era anche l’inevitabile passerella di ministri, di scrittori col libro in uscita, di intellettuali pubblici dalla sicura notorietà ma discutibile competenza. Però questi erano peccati veniali, non il centro del progetto.
Economia senza economisti
Adesso, dopo un paio d’anni di tentativi, il presidente della provincia di Trento Maurizio Fugatti, della Lega, ha deciso che anche se l’offerta di Laterza rimaneva valida e idonea, preferiva il Sole 24 Ore. A quanto si apprende (dal Fatto Quotidiano), il comitato scientifico sarà imperniato su Giulio Tremonti, con la collaborazione di Domenico Siniscalco, altro ex ministro.
La cosa curiosa è che Il Sole 24 Ore è il contrario dell’ideale di ricerca indipendente e priva di condizionamenti cui si ispira l’accademia, perché è un giornale controllato dalla Confindustria, cioè la più influente delle lobby italiane. Giulio Tremonti si è piccato delle critiche di Laterza in una intervista e ha inviato alla Stampa una piccata lettera, perfidamente titolata «sono l’ex ministro più colto».
Neppure la pletora di affiliazioni e onorificenze elencate da Tremonti possono cancellare il fatto che l’ex ministro è uno stimato avvocato e un autore di libri di successo, ma non certo un economista (a riprova della sua indipendenza dalla politica, il Sole lo indicò “uomo dell’anno” quando il potere tremontiano era all’apice, nel 2009).
Siniscalco è laureato in giurisprudenza, un dottorato in economia ce l’ha, ma il grosso della sua carriera è stato nel settore privato, come banchiere di Morgan Stanley, non è certo un accademico.
Il bivio di Trento, insomma, è tra l’idea (o forse l’illusione) che l’élite italiana possa essere una componente di una più vasta comunità intellettuale internazionale, dove, per definizione, si può al massimo essere pari tra i pari, e la presunzione di bastare a sé stessi, con le connessioni politiche e di relazione che fungono da succedaneo della reputazione scientifica. La scelta è tra un modello di cultura “globalista”, come la chiamerebbe Tremonti, e una provinciale.
Per fortuna talvolta il mercato funziona e varie città si stanno candidando a ospitare il “vero” festival dell’Economia, mentre a Trento resterà quello dell’economia di relazione.
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