- Va chiarito se si è alle prese con un’impresa costituente.
- Non per uno sfizio formale, ma per una ragione pratica
- Con le regole vigenti non si può avere un congresso a tesi vecchia maniera, ma si va subito alla personalizzazione della contesa.
Caro direttore, oso sfidare l’opinione generale. Alludo alla facile irrisione della discussione sulle regole congressuali del Pd. Mi rivolgo a lei che si è mostrato tra i più netti, sostenendo che questo Pd rappresenta un tappo o un ingombro.
Quantomeno è richiesta una marcata discontinuità: cambiare e cambiare in profondità per non morire.
Se si conviene su questo presupposto si deve essere conseguenti: è sbagliato fare ironia a proposito della disputa sulle regole.
A cominciare dalle due che hanno impegnato gli organi del Pd. Quelle sulla Carta dei valori e sul voto online. Trattasi infatti di due precondizioni perché la discussione politica inscriva in un congresso davvero costituente, cioè all’altezza della portata della crisi che affligge il Pd.
Le regole congressuali sono effettivamente datate e bizantine, ma con esse si devono fare i conti.
Dentro una condizione ordinaria, non sarebbe priva di fondamento l’obiezione formale di chi eccepisce sulla legittimazione di organi di partito in scadenza di riscrivere la Carta dei principi.
Altro è se davvero si intende attendere a un soggetto politico nuovo cui partecipino altri attori.
Daniela Preziosi ha segnalato, per esempio, il disagio di Art. 1 cui era stato assicurato che non si sarebbe trattato di una mera confluenza nel Pd.
Va cioè chiarito in via preliminare appunto se si è alle prese con un’impresa costituente.
Non per uno sfizio formale, ma per una ragione pratica: con le regole vigenti non si può avere un congresso a tesi vecchia maniera, ma si va subito alla personalizzazione della contesa.
Se dunque non si può discutere della Carta dei valori come si possono immaginare una riflessione e un confronto adeguati?
Come si può evitare che essi si risolvano nella mera puntata sul “cavallo” preferito, solo mettendosi al seguito di questo o quel candidato.
Il quale, a sua volta, anziché proporre una organica piattaforme politica, si limita a fornire qualche frammento della sua visione attraverso pubbliche dichiarazione affidate ai media?
Considerazioni analoghe valgono per il voto online al ballottaggio con cui si decide il segretario tra i due meglio piazzati nel voto degli iscritti.
Si può eccepire sulla regola a monte e cioè sul potere di non iscritti al partito di concorrere all’elezione del leader.
Ma, stante la regola, se ne tragga almeno il beneficio dello stimolo all’apertura. Un elemento qualificante per chi davvero aspira a cambiare le cose dentro un partito la cui “costituzione materiale”, a detta di tutti, sta nella chiusura oligarchica e in un patologico correntismo.
Con le regole vigenti, il massimo di innovazione possibile sta esattamente e preliminarmente proprio in una interpretazione di esse la meno impermeabile all’esigenza di una effettiva discontinuità prescritta dalla distretta vitale (o mortale) del Pd cui si è fatto cenno.
Di più, meriterebbe dare peso, nel giudizio sui candidati, alla loro apertura piuttosto che alla loro chiusura su quei due punti decisivi: novità e allargamento.
La decisione, adottata con argomenti pretestuosi, di limitare il voto online a strette eccezioni condiziona pesantemente l’esito della contesa a vantaggio del candidato dietro il quale si è via via schierato il grosso del vecchio apparato.
Vedi caso colui che si è recisamente opposto a quella estensione. Ipotecando la vittoria propria ma, temo, la sconfitta delle chance di rigenerazione del partito.
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