- Il decreto Aiuti del Governo contiene misure importanti, utili, per aiutare le famiglie a basso reddito colpite dall’inflazione.
- È abbastanza? Alcuni nodi fondamentali, dai salari agli affitti ai prezzi dell’agro-alimentare, richiedono scelte nette e capacità di incidere. Non sono ancora stati affrontati.
- Inoltre le risorse sono limitate. Occorre un intervento dell’Unione Europea, con eurobond, in modo analogo a quanto fatto durante la pandemia. Da mettere in campo subito. È anche un modo per dare sostegno al lungo processo di riforma dei trattati, verso l’Europa federale.
L’aumento dei prezzi riguarda soprattutto l’energia e i generi di prima necessità. Le famiglie a basso reddito dedicano a questi beni (riscaldamento, trasporti, alimentazione) la gran parte delle loro risorse, per ovvie ragioni: sono quindi quelle maggiormente colpite dalla spirale inflattiva.
Su questo il decreto Aiuti del governo, approvato giovedì, contiene misure importanti, utili: su tutte, l’erogazione, a luglio, di 200 euro per circa 30 milioni di italiani con un reddito sotto i 35mila euro (vale 6 miliardi); oppure, sulla scia di quanto si sta facendo in Germania, la creazione di un fondo per incentivare studenti e lavoratori a basso reddito a utilizzare i trasporti pubblici (ma vale 100 milioni); o l’estensione del bonus energia, per le famiglie numerose, anche retroattivo.
È abbastanza? Intanto è qualcosa. Ci sono però due nodi. Il primo è quello delle scelte politiche. Il secondo quello delle risorse.
Sul primo, non è un caso che il ricorso al bonus risulti, di gran lunga, predominante. Benché costoso, è il bonus la via più semplice per una politica che ha perso la capacità di incidere nelle dinamiche della società o che, semplicemente, non vuole schierarsi fra i diversi interessi in gioco: come sarebbe, ad esempio, intervenire per limitare le rivalutazioni degli affitti, come fatto in Spagna dal governo Sanchez, una misura che peraltro evita di alimentare la spirale inflattiva (ma che certo non piace ai percettori di rendita); oppure aiutare i produttori dell’agro-alimentare, così da sterilizzare gli aumenti del settore (alcune grandi catene si stanno già muovendo per mantenere i prezzi bassi, ma senza un intervento pubblico sull’intera filiera il rischio è che poi a pagare per gli aumenti siano solo i produttori, o a cascata i piccoli commercianti); o sostenere il potere di acquisto dei salari, incentivando le imprese che rinnovano le retribuzioni per adeguarle all’inflazione, introducendo il salario minimo e rafforzando e garantendo la contrattazione collettiva.
C’è poi il tema delle risorse. La crescita rallenta, sensibilmente, mentre le prospettive di rialzo dei tassi renderanno il nostro debito ancora più oneroso: le risorse nazionali sono limitate. La soluzione si trova in Europa.
L’occasione può essere il vertice straordinario del Consiglio europeo, il 30 e 31 maggio: lì Scholz, Macron (appena riconfermato), Draghi e Sanchez dovrebbero farsi promotori di un piano di aiuti dell’Unione, con emissione di eurobond, in modo analogo a quanto fatto durante la pandemia.
Da attuare subito, anche per supportare la riforma dei trattati in direzione dell’Europa federale: riforma che invece è un processo lungo e incerto e avrà poi bisogno, per andare in porto, del favore delle opinioni pubbliche. E quale occasione migliore, in fondo, di un grande piano sociale europeo?
La nostra stessa storia ce lo insegna. Non ripetiamo gli errori del passato.
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