- Due anni fa, il 26 novembre del 2021, venne siglato, senza enfasi ma con grande cordialità reciproca, il Trattato del Quirinale che intendeva rafforzare e istituzionalizzare i rapporti tra Francia e Italia.
- È passata molta acqua sotto i ponti da allora. Per fortuna la presidenza della Repubblica italiana è rimasta nelle mani sicure di Sergio Mattarella, ma il governo è passato dall’europeismo di Mario Draghi al sovranismo di Giorgia Meloni.
- E in Francia il presidente Emmanuel Macron governa senza una maggioranza precostituita. Inoltre, deve fronteggiare una ondata di contestazioni con pochi precedenti.
Due anni fa, il 26 novembre del 2021, venne siglato, senza enfasi ma con grande cordialità reciproca, il Trattato del Quirinale che intendeva rafforzare e istituzionalizzare i rapporti tra Francia e Italia. È passata molta acqua sotto i ponti da allora. Per fortuna la presidenza della Repubblica italiana è rimasta nelle mani sicure di Sergio Mattarella, ma il governo è passato dall’europeismo di Mario Draghi al sovranismo di Giorgia Meloni. E in Francia il presidente Emmanuel Macron governa senza una maggioranza precostituita. Inoltre, deve fronteggiare una ondata di contestazioni con pochi precedenti.
L’ultimo scontro
Le condizioni politico-ideali che avevano reso possibile quell’accordo ambizioso non ci sono più. I due governi sono entrati in rotta di collisione per l’enorme divario che li separa sul piano delle coordinate valoriali generali e delle prospettive di politica europea.
La Francia ha fatto trasparire subito un misto di insofferenza e sfiducia verso il nuovo esecutivo, e Meloni ha immediatamente offerto ai francesi un’occasione propizia per far partire una raffica di critiche quando ha frenato le attività di soccorso delle Ong e “costretto” i transalpini ad accogliere a Marsiglia l’Ocean Viking.
Ultimo episodio di questo stato di tensione latente, l’uscita, questa volta infelice e sopra le righe, del ministro degli Interni Gérard Darmanin sulla gestione dei migranti da parte dell’Italia. In effetti il governo Meloni offre agli occhi dell’Europa una dimostrazione lampante di incapacità e inefficienza nella gestione del fenomeno migratorio. Dopo aver promesso in campagna elettorale, sulla scia del suo sodale Salvini che «sarebbe finita la pacchia» e non saremmo stati più “invasi”, di fronte al fallimento clamoroso, e persino criminogeno, di ogni sua iniziativa, l’unica cosa che sa fare Meloni è lamentarsi come una piccola fiammiferaia per essere lasciata sola dall’Europa. Un atteggiamento querulo e vittimista che sorvola sul fatto che l’Italia ha una percentuale di immigrati inferiore a tutti i paesi dell’Europa occidentale. Le parole di troppo di Darmanin partono da qui. Ma si comprendono meglio inserendole nel contesto della politica interna francese, e delle ambizioni dello stesso ministro. Mentre i partiti anti immigrati sono al governo in Italia, in Francia sono tenuti ai margini e fronteggiati da un esecutivo, che su questo aspetto teme la retorica demagogica del Rassemblement Nation di Marine Le Pen. Teme soprattutto di apparire lassista sul tema dell’accoglienza.
Il danno
È comunque paradossale che due paesi che hanno siglato un patto di cooperazione così importante come il Trattato del Quirinale si trovino al punto più basso dei rapporti reciproci, fatta eccezione per il tour di sostegno ai gilet gialli da parte di Luigi Di Maio durante il primo governo Conte. Ma allora tutto si risolse rapidamente grazie all’intervento del presidente Mattarella e alla sconfessione di quella iniziativa da parte del capo del governo.
Oggi, invece, il solco si sta approfondendo perché l’esecutivo francese vede in quello italiano un alleato implicito del Rassemblement national. Anche se Meloni ha altre preferenze, c’è Salvini che vanta uno strettissimo rapporto con Marine Le Pen. Un trattato come quello siglato due anni fa implica, ed esige, una identità di vedute sui fondamentali che attualmente mancano del tutto. Questa situazione danneggia terribilmente l’immagine e la reputazione internazionale dell’Italia perché rinverdisce quell’immagine di paese instabile nelle alleanze e negli impegni, e pronto a giri di walzer.
Lo sbandamento euroscettico del governo gialloverde del Conte I era stato fortunatamente troppo breve per rovinare la reputazione italiana, e il ricentraggio filoeuropeo dei Cinque stelle con il voto a von der Leyen, e il successivo governo giallorosso, avevano rimesso in carreggiata l’Italia. Ma ora l’amica dei paesi euroscettici di Visegrad rischia di mandare a monte la linea filoeuropea e filo-occidentale (che non coincide con filoatlantica) del nostro paese, mentre invece abbiamo bisogno di alleati solidi tra i paesi che contano in Europa. Tra i quali dovrebbe esserci, in primis, la Francia.
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