- Lo sciopero di Cgil e Uiol è un segno di contro-potere da un lato ed è un campanello d’allarme di scontento reale dall’altro.
- Lo stupore di Enrico Letta e altri per lo sciopero contro la legge di Bilancio è segno di non comprensione, indicativo dell’assenza del partito dalla società, e di una distanza di linguaggi e di opinioni.
- Lo sciopero è una richiesta di dialogo in un tempo cruciale, nel quale chi non ha che il numero a proprio vantaggio deve usarlo per poter far sentire la propria voce. Questo dicono i sindacati.
Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta ha dichiarato a commento dello sciopero generale di Cgil e Uil: «Mi scandalizzo di questa scelta di scioperare... Secondo me questa risposta è una risposta precipitosa... Complessivamente questa è una legge di stabilità che è favorevole ai cittadini, abbiamo aumentato le tasse per chi svolge attività finanziaria per alleggerirle su chi invece cerca di creare nuovi posti di lavoro».
Alleggerire le tasse su chi crea posti di lavoro: trickle-down, la “favola bella” dello sgocciolamento del benessere che, mentre non genera lavoro, allarga il divario economico tra i pochissimi e tutti gli altri.
Al di là delle interpretazioni ideologie, è lo “stupore” che richiede attenzione. Perché rivela una frattura reale tra chi fa politica professionalmente e chi fa il cittadino lavoratore professionalmente. Rivela l’incomprensione da parte del partito rispetto alla sensibilità di tantissimi cittadini su questioni relative alla loro vita materiale e sul potere che hanno di contribuire a determinare le scelte politiche che li riguardano.
Lo sciopero di Cgil e Uil è un segno di contropotere da un lato ed è un campanello d’allarme di scontento reale dall’altro – lo stupore è segno di non comprensione, indicativo dell’assenza del partito dalla società, e di una distanza di linguaggi e di opinioni.
Oggi, il partito organizza le candidature e le campagne elettorali dei candidati e si occupa dell’audience. E’ come un ufficio di collocamento per chi vuol fare politica istituzionale, un’immagine deprimente ma realistica, che fa pensare, in aggiunta, che l’assenteismo elettorale sia preferito al dissenso organizzato.
Questo spiega la reazione dell’Italia ufficiale di fronte a questo sciopero nazionale: dai partiti alle tv ai giornali si è assistito a una vera scomunica.
Una frattura tra dentro e fuori è quanto di più improvvido si possa avere. Perché uno sciopero non è una rottura, non è un appello alla insubordinazione, non è una una forma di anti-sistema.
Lo sciopero è una richiesta di dialogo in un tempo cruciale, nel quale chi non ha che il numero a proprio vantaggio deve usarlo per poter far sentire la propria voce. Questo dicono i sindacati.
I partiti, il Pd tra essi, rispondono con una difesa acritica del loro operato, chiudendosi a riccio. E dichiarano che coloro che dissentono e scioperano sono deludenti, fanno azione di contrasto. Il sindacato riempie un vuoto di rappresentanza che è misurato dalla incomunicabilità tra chi rappresenta e chi è rappresentato.
E’ evidente che la costruzione di soggetti collettivi è una componente infrastrutturale della rappresentanza e qualcuno se ne deve prendere carico. I partiti non sembrano interessanti a farlo. E questo stupisce davvero. Deve stupire.
Poiché l’allargamento del gap tra il dentro e il fuori delle istituzioni è all’origine della debolezza attuale del sistema democratico.
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