- Il Pd è stato finora l’unico, fra gli sconfitti, ad aver tratto dal voto le dovute conseguenze; gli altri si comportano come se avessero vinto.
- Riconosciuto questo, proprio il percorso congressuale, a partire dalla tormentata vicenda del manifesto dei valori, mostra i persistenti i limiti e le contraddizioni di questo partito, impantanato nel “ma anche”.
- Sono limiti culturali e strutturali, che negli anni hanno provocato l’emorragia dei voti. Oggi, si perpetuano nella candidatura di Bonaccini e nell’area che lo sostiene.
Il Pd non è stato l’unico partito ad aver perso le elezioni. Ma è l’unico, fra gli sconfitti, ad averne tratto le dovute conseguenze; gli altri si comportano come se avessero vinto.
Riconosciuto questo (che non è poco), proprio la discussione in corso mostra però quanto sia difficile superare le contraddizioni e i limiti del Pd, o almeno di una sua ampia area.
Sono limiti organizzativi e di classe dirigente: un partito degli eletti, in cui gli iscritti contano molto poco, e dove spesso la retorica del fare non affianca e supporta la visione ideale (come dovrebbe essere), ma la sostituisce; e in cui permangono preoccupanti tendenze al conformismo, all’opportunismo e, in particolare al Sud, perfino al familismo e al clientelismo.
E sono poi limiti culturali: mentre in tutto il mondo occidentale, cioè in tutte le democrazie liberali, i partiti social-democratici oggi sono gli avversari del neo-liberismo, nel Pd molti subiscono ancora la fascinazione di quel modello.
Alcuni tacciano addirittura di comunismo chi, nel loro stesso partito, propone giustamente di superarlo.
E, paradosso dei paradossi, proprio questi si definiscono “liberal”, forse non sapendo che la parola vuol dire esattamente il contrario: i liberal negli Stati Uniti sono gli avversari dei neo-liberali e rappresentano le posizioni social-democratiche (l’economista keynesiano e Nobel Paul Krugman, per esempio).
Il dibattito sul nuovo manifesto dei valori è stato su questo rivelatore. Alla fine abbiamo avuto un buon testo, per un partito di centro-sinistra, in un paese avanzato, nel ventunesimo secolo: centrato sulla lotta alle disuguaglianze e la dignità del lavoro, l’attuazione della Costituzione; che coerentemente sottolinea l’importanza dell’intervento pubblico per correggere i fallimenti del mercato, creare benessere e garantire i diritti; con in più (positiva) una forte attenzione all’ambiente; e che non vuole ovviamente abolire l’economia di mercato.
L’ostilità di una parte del Pd verso questa salutare impostazione è però arrivata al punto da costringere all’ennesimo compromesso bizantino: la nuova carta dei valori entra in vigore, ma la precedente rimane valida.
Il Pd non finisce mai di stupire: adesso ha anche due manifesti dei valori! I quali in alcuni punti si contraddicono (ad esempio il primo dice che lo stato deve limitarsi a far funzionare bene il mercato, il secondo parla anche di stato innovatore).
Dei quattro candidati alla segreteria, sono stati Bonaccini e De Micheli a spingere per questa soluzione che perpetua il “ma anche”.
Cuperlo e Schlein promettono invece di dare coerenza al nuovo manifesto (ed Elly Schlein più di Cuperlo sui temi ambientali).
Fra i candidati favoriti, Bonaccini è anche quello che ha costruito la coalizione più eterogenea e contraddittoria. Già da questi fatti si possono trarre utili indicazioni di voto.
© Riproduzione riservata