Le cronache di questi giorni ci parlano di un Trump appagato, silenzioso, soddisfatto del successo. Si giova dell’immagine di grande vincitore della battaglia elettorale, perché il successo nella rappresentanza conquistata è di gran lunga superiore allo stesso vantaggio numerico che ha ottenuto.

Questo divario, questo successo all’interno degli Stati uniti, nasconde il vero mutamento di fondo che ha innescato la sua vittoria. Non è solo interno, è una situazione che riporta al passato, negli anni successivi alla Prima guerra mondiale.

Sono gli anni Trenta. Dopo la guerra, i paesi vincitori dovevano stabilire un ordine mondiale fondato su due pilastri. Il primo era la creazione di organismi sovranazionali come luogo di incontro delle realtà nazionali, con lo scopo di mantenere condizioni di pace o comunque di non tensione bellica. Così nacque la Società delle Nazioni.

Il secondo pilastro era l’affermazione del principio della non ingerenza negli ordinamenti statutari interni dei paesi. Una scelta che appariva come l’uovo di Colombo, come una soluzione innovativa: ovvero l’autonomia degli Stati nella libera scelta del proprio destino futuro. Fu invece un madornale errore di previsione, una soluzione del problema dell’ordine mondiale semplicistica. Fu presto chiaro che, anzi, era un micidiale esplosivo: fu la base del giustificazionismo di regimi autoritari fascisti e nazisti, e della non interferenza nei regimi comunisti.

La guerra secondo Colorni

Lucidamente Eugenio Colorni, in uno degli ultimi articoli che scrisse da clandestino, nel 1944, rifletté sulle conseguenze della scelta della non influenza sui regimi autoritari che in quegli anni si andavano organizzando. Non solo per il costo all’interno dei singoli stati ma anche e soprattutto perché quella scelta creò le condizioni per il conflitto fra stati che avevano in sé il germe espansivo. Fu quel terribile epicentro a lasciar crescere i regimi autoritari, a preparare lo scontro del mondo, e infine la Seconda guerra mondiale.

Oggi c’è qualcosa di sospeso, che non convince, in questo clima apparentemente disteso che si è venuto a determinare dopo il successo di Trump, che pure in precedenza veniva temuto come un pericolo da scongiurare.

Intanto qualcosa non è chiaro. Il tempo ci dirà quali sono state le forze che negli ultimi quindici giorni di campagna elettorale negli Usa hanno deciso che era meglio rinunciare a battersi, non solo per la conquista della maggioranza degli elettori, ma per difendere la maggioranza dei grandi elettori dei sette stati decisivi. La lotta è scolorita. Anzi è parso che si stesse scegliendo la via della diserzione in quei sette stati; forse perché lo scontro fino in fondo avrebbe acceso tensioni e rischi interni, sappiamo che il dramma di una guerra civile era evocato e paventato. Per questo, forse, era meglio fermare il conflitto interno.

Il principio di non ingerenza

Ora però, con la vittoria di Trump, dalle prime reazioni internazionali sembra ripetersi quell’antica storia deleteria che si determinò dopo la Prima guerra mondiale: il principio della non influenza nella vita interna degli stati. È il principio professato da Trump in campagna elettorale. Ma ora già gli stati europei sembrano disporsi ad accettarlo come nuovo principio del nuovo ordine globale: il principio la non ingerenza nelle aree internazionali.

Trump annuncia che non farà nuove guerre, che spegnerà quelle esistenti, e che attenuerà la presenza degli Usa e l’“ingerenza” nelle loro aree di influenza del mondo. Ma questo ha una conseguenza: ora in quelle aree correremo il rischio di trovarci di fronte a uno scontro fra stati e aree di influenza. Siamo al raddoppio del rischio che Colorni aveva denunciato come causa principale della Seconda guerra mondiale.

I nostri anni Trenta

I grandi stati oggi in guerra, dall’Europa asiatica al Medioriente, da Trump e da quelli che si stanno allineando a Trump ora hanno appreso che possono fare come vogliono: sia all’interno, nel proprio ordinamento statuale, sia all’esterno, nelle loro mire espansionistiche, e penso alla Russia, o nelle loro mire di ridisegno di intere aree, e penso a Israele. Autonomia e isolamento di ciascuno, non ingerenza e non influenza da parte degli Usa e dietro agli Usa anche degli stati d’Europa. Le conseguenze non tarderanno ad arrivare. Il rischio è quello di entrare presto negli anni Trenta del nuovo secolo come entrammo in quelli dello scorso secolo: ma probabilmente la preparazione di un nuovo conflitto stavolta non durerà neanche un decennio. Le guerre regionali si possono trasformare in guerre globali.

Questo principio di autonomia è in realtà un principio di disgregazione. E il dramma maggiore sarà per l’Europa. Il principio trumpiano è l’opposto della strada fin qui faticosamente imboccata di unità politica.

Eugenio Colorni denunciò che nel principio della non ingerenza c’era una carica esplosiva. Parlò della cecità dei vincitori della Prima guerra mondiale. Oggi questa carica esplosiva è raddoppiata: la non influenza e la non ingerenza portano al conflitto fra aree. Con esiti imprevedibili dove mancano robusti ordinamenti democratici. È il caso, ormai, di molti paese fondatori dell’Europa. Vediamo l’accelerazione della crisi tedesca, e della Francia. L’Italia non è in crisi: è già il paese più debole perché è stato il primo ad aver imboccato la marcia indietro verso il ritorno alla sovranità nazionale.

Il problema della sinistra

La vittoria di Trump innescherà o accelererà la crisi di tutti gli organismi sovranazionali nati per la difesa della democrazia. Nelle aree asiatiche e in quelle mediorientali le guerre d’area saranno regolate dalla forza dei singoli stati. E alla fine Trump aveva messo in conto solo una guerra civile, e invece la sua vittoria è quella di un ordine mondiale organizzato attraverso la preparazione di un conflitto, su cui Trump stesso non avrà nessuna capacità di controllo.

Resta il grande problema per la sinistra europea: deve essere in grado di organizzare la revisione critica della propria cultura politica per affrontare l’impetuosa e accelerata modernizzazione delle società; e insieme, dare una spinta alla vitalità delle nuove generazioni per riprendere la via indicata da Colorni dell’integrazione politica europea. La strada è obbligata: affrontare dei drammi sociali che sono alla base del vero distacco tra popolo e istituzioni.

Per affrontare le diseguaglianze occorrono due essenziali condizioni: la prima, di carattere interno, è riorganizzare i propri partiti politici a dimensione europea, e con disciplina europea. La seconda, di carattere sovranazionale, riguarda il campo della difesa dell'area europea, che sarà fortemente indebolita dal distacco degli Usa dall’Occidente. La Nato non può essere liquidata: deve essere rinnovata e potenziata per tutelare i diritti e i doveri degli Stati. Che hanno una sola frontiera da presidiare: quella della libertà. Che non tollera l’autoritarismo e il campo ipocrita della “non influenza”.

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