- I trasporti potrebbero davvero essere il banco di prova più interessante per capire la direzione che prenderà l’impegno ambientalista del nuovo governo, su cui ha preso una posizione esplicita Mario Draghi.
- Le condizioni ci sono tutte: un ministro competente come Enrico Giovannini, le risorse del Next Generation Eu, le opportunità della mobilità elettrica e le indicazioni del rapporto Pendolaria 2021 di Legambiente.
- L’altra grande sfida che il nostro Paese ha di fronte è il Sud. Ma per lavorare al meglio non basta stilare un elenco di opere da finanziare.
I trasporti potrebbero davvero essere il banco di prova più interessante per capire la direzione che prenderà l’impegno ambientalista del nuovo governo, su cui ha preso un impegno esplicito il presidente del Consiglio Mario Draghi. Le condizioni ci sono tutte: un ministro competente come Enrico Giovannini, le importanti risorse messe a disposizione da Next Generation Eu, le grandi opportunità che mobilità elettrica, idrogeno e digitalizzazione stanno aprendo di innovazione del settore.
Il problema italiano è che come si apre una discussione pubblica sul tema, la reazione è sempre la stessa: si stila un elenco di opere. Questo riflesso pavloviano lo troviamo anche nel capitolo sul tema del recovery plan presentato dal governo Conte, migliore di altri elenchi del passato perché i vincoli europei vietavano di finanziare autostrade, ma pur sempre in una logica di un tanto al chilo di cantieri da distribuire nel paese. Questo modo di procedere è sbagliato, porta a sperperare risorse e a rinunciare a capire quali ritardi affrontare e dove le politiche pubbliche possono incidere di più per il rilancio del paese e nel ridurre le disuguaglianze.
Ad aiutarci nel trovare una bussola per orientare le politiche dei trasporti sono le analisi del recente rapporto Pendolaria 2021 di Legambiente, che presenta informazioni aggiornate sulle dinamiche di mobilità delle persone nel periodo pre e post pandemia, i ritardi infrastrutturali e le opportunità che si stanno aprendo per una mobilità davvero a emissioni zero. Guardare la realtà, analizzare i numeri e approfondire i problemi aiuta a capire quali sono le sfide che il nostro paese ha di fronte.
A partire dalle aree urbane, perché qui troviamo larga parte della domanda di mobilità delle persone, con milioni di pendolari che si muovono ogni giorno, principalmente in auto, e i maggiori ritardi in termini di possibilità di spostamento in metro, tram, treni suburbani rispetto a tutti gli altri Paesi europei. La buona notizia è che prima del lockdown erano in crescita gli spostamenti sulla rete urbana del ferro, a segnalare una disponibilità a cambiare abitudini ovunque il servizio risulta competitivo, meglio ancora se integrato con i servizi di sharing mobility e corsie ciclabili. A Milano, come a Firenze e Bari, Cagliari e Palermo, su alcune linee si trova un servizio di livello europeo che dimostra che le cose possono cambiare. Ma, al contempo, rimangono situazioni vergognose a Napoli, sulle linee circumvesuviane, e a Roma sui treni gestiti da Atac, dove al degrado di stazioni e treni e alla riduzione del servizio si è aggiunta in questi mesi la paura del contagio per l’affollamento e la mancanza di controlli.
Negli altri paesi europei quanto avviene nelle città non è un problema locale, ma una priorità nazionale che ha come conseguenza che qui si concentrano risorse per aiutare i Comuni, ma anche controlli, perché il paese e i diritti delle persone valgono ovunque allo stesso modo. Già qui troviamo due priorità per il piano che l’Italia dovrà mandare a Bruxelles. Una che riguarda le priorità degli investimenti, perché nel 2019 e 2020 non si è inaugurato neanche un tratto di linee metro in più in Italia, e l’altra che riguarda il ruolo del Ministero nel garantire un servizio degno di un Paese civile.
L’altra grande sfida che il nostro Paese ha di fronte è il Sud dove, anche qui, la soluzione non passa per i soliti grandi cantieri da aprire. È evidente che anche in questa parte del paese occorra portare su alcune direttrici collegamenti ad alta velocità - come tra Napoli e Bari, verso Reggio Calabria, tra Palermo e Messina – e che siano urgenti interventi di elettrificazione e potenziamento delle linee principali. Ma se si guarda solo e sempre ai chilometri di linee e ai miliardi di euro da destinare al Mezzogiorno, si perde di vista la realtà.
Ad esempio, il problema che se si va in stazione non si trovano i treni. In questa parte del paese i treni in circolazione sono diminuiti negli ultimi dieci anni tra intercity e regionali, e qui le frecce e gli Italo non arrivano. A cosa serve un Recovery plan se non affronta questi problemi e se non mette in campo idee davvero nuove per un Paese più verde, digitale e equo? La transizione ecologica, ricordiamocelo, non è una corsa a intercettare risorse ma una sfida a ripensare le forme dello sviluppo attraverso soluzioni innovative.
A proposito di semplificazioni, invece di cancellare le gare per gli appalti come fatto dal Governo Conte, magari se ne potrebbe lanciare una europea per chi si candida a mettere treni nuovi sulle principali linee ferroviarie del Sud, con frequenze ogni ora e coincidenze con treni regionali e autobus. Per dare la possibilità di girare senza auto anche in Sicilia o tra le città costiere, tra porti e aeroporti, beni archeologici e spiagge. Oggi un sogno, ma che può diventare la visione da mettere al centro del progetto europeo di rilancio e uscita dalla pandemia.
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