- Il “favore delle tenebre” è ormai metodo operativo di gestione dell’emergenza. Il Tar di Roma ha di recente disposto la pubblicazione del “Piano nazionale di emergenza”, di cui il Ministero della Salute negava l’esistenza. I dati grezzi sull’epidemia restano ancora opachi.
- Oscuro è pure il motivo per cui Arcuri ha voluto costose siringhe di precisione, ma il suo operato è sottratto a controlli di metodo e di merito. Per i padiglioni Primula ha avviato una raccolta fondi. Ma opaco è il motivo per cui investire soldi a fini “estetici”, che fanno pubblicità al Commissario.
- Il decreto sul Piano vaccinale è stato pubblicato, a circa un mese dall’emanazione, ma esso resta molto indeterminato. E c’è un giallo: nel bando per i Padiglioni si richiama un paragrafo che nel Piano non esiste. Esiste forse un altro Piano?
«Questo governo non lavora con il favore delle tenebre», disse Giuseppe Conte il 10 aprile scorso. Ma di trasparenza se n’è vista ben poca sin dall’inizio. Il “favore delle tenebre” è ormai un metodo operativo di cui si hanno costanti conferme.
Il Piano nazionale di emergenza
Il Tar di Roma, con una sentenza del 22 gennaio (n. 879), ha disposto che il ministero della Salute esibisca il Piano nazionale di emergenza, come richiesto con un’istanza di accesso agli atti. Il ministero ne aveva negato l’esistenza, affermando che esso fosse solo uno «studio contenente elaborazioni matematiche e dati statistici», pubblicato a febbraio.
Il tribunale ha ricostruito la vicenda, concludendo che il Piano - cui aveva fatto un preciso cenno il direttore della Programmazione sanitaria del ministero, dicendo che era stato secretato per «non spaventare la popolazione» - risaliva alla «metà di gennaio».
Se un Piano esiste, ma il ministero lo nega, da un lato, comprime il diritto alla trasparenza che spetta a chiunque (d.lgs. n. 97/2016) e non può essere limitato con paternalistiche motivazioni; dall’altro lato, dice il falso.
Il Tar ha ordinato l’esibizione del Piano entro trenta giorni. Il ministero potrà ricorrere al Consiglio di Stato, ribadendo così il proprio atteggiamento di opacità.
Dati disaggregati
Da mesi sorgono iniziative che chiedono trasparenza sui dati della pandemia - disaggregati e in formato aperto - per consentire ricerche indipendenti. Quelli forniti solo in forma aggregata o in formato chiuso precludono analisi più puntuali, specie a livello territoriale.
Poiché misure limitative di libertà e diritti devono essere proporzionate al rischio corrente, aprire i dati è l’unico modo per consentire di verificare la fondatezza delle decisioni che incidono sulla vita delle persone.
Da novembre è stato implementato il sistema dei 21 indicatori di rischio, che determinano la classificazione delle Regioni e le relative restrizioni. Ma non sono stati resi trasparenti i dati disaggregati con cui gli indicatori vengono alimentati, precludendo così alla comunità scientifica di valutare sia la loro congruenza che le metodologie usate.
Se i dati grezzi fossero stati disponibili, forse l’errore riguardante la Lombardia si sarebbe potuto evitare.
La trasparenza degli elementi sui quali si fondano le decisioni del potere è anche una questione di democrazia, nonché di accountability di chi governa. E non solo in epoca di pandemia.
Le siringhe di Arcuri
Persiste opacità sull’effettiva necessità della fornitura - e della relativa spesa, circa una decina di milioni di euro - di 157 milioni di siringhe di precisione che, secondo il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, sono le uniche in grado di estrarre 6 dosi invece di 5 da ogni fiala del vaccino Pfizer.
La Corte dei Conti vuole verificare se lo stesso risultato non potesse essere ottenuto con siringhe tradizionali, ben meno costose. Ma il decreto Cura Italia (art. 122, c. 8), con una norma passata per mesi quasi sotto silenzio, garantisce uno “scudo” al Commissario: contratti e atti negoziali «per far fronte all’emergenza» sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione, e la responsabilità contabile e amministrativa è «limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo».
Ora forse è più chiaro il motivo per cui spesso Arcuri mostra un atteggiamento di arroganza nei riguardi di chi gli chieda conto del suo operato, l’opposto dell’accountability che dovrebbe connotare i decisori pubblici: da un lato, la legge gli consente di agire in deroga a norme del Codice degli Appalti, con insindacabilità nel metodo; dall’altro, lo sottrae a controlli, con insindacabilità nel merito.
I padiglioni Primula
Certe scelte del Commissario appaiono opache anche quando pretendono di essere trasparenti. Così fu l’estate scorsa per i noti banchi a rotelle, oggetto prima di un bando pubblico e poi di trattative private, senza soluzione di continuità.
Ora è il momento dei “padiglioni Primula”. Il bando per la loro realizzazione ne prevede un minimo di 21, uno simbolico per Regione, ma il Commissario si riserva di ordinarne sino a 1.200.
Chi aderisce deve garantire l’idoneità all’ulteriore impegno produttivo, senza sapere se, quando e per quante unità potrà essergli richiesto. Il bando puntualizza «l'assoluta immodificabilità dell'estetica del progetto».
Del resto, la struttura a Primula è ormai segno distintivo di Arcuri. Il Commissario, peraltro, sta cercando finanziatori – con avviso pubblico – ai quali riserverà una «nota ufficiale di ringraziamento», se verseranno più di 400 euro, o «una targa (delle dimensioni indicative di 50cmx50cm)», se copriranno l’intero costo di una Primula, 400.000 euro, per premiare lo «sforzo profuso». Si tratta di un’iniziativa di sponsorizzazione, in uso ad esempio nel settore culturale.
È un modo per realizzare, mediante l’intervento di privati, ciò che il pubblico non è in grado di fare, associando il marchio del finanziatore a un fatto lodevole. Ma un privato sovvenzionerà un’iniziativa che “esteticamente” fa pubblicità ad Arcuri, anziché a se stesso, cui resta una misera targa, anziché un’esposizione idonea a garantirgli un adeguato ritorno promozionale?
Rimane comunque opaco il motivo per cui soldi pubblici e privati siano spesi a fini estetici, in un’emergenza sanitaria.
Il piano vaccinale
Il Piano strategico di vaccinazione - redatto nella versione finale il 12 dicembre scorso, a cura di Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità e AIFA - prevede in modo non sufficientemente definito una serie di elementi essenziali (categorie da vaccinare, logistica, governance ecc.). Ma pur essendo un atto che incide sulla vita delle persone, non era passato attraverso l’istituzione preposta a fare certe scelte: il Parlamento.
Così la Legge di Bilancio (art. 1, c. 457) ha disposto che fosse il ministro della Salute ad adottare «con proprio decreto avente natura non regolamentare il piano strategico nazionale dei vaccini».
Da quel giorno, del decreto si sono perse le tracce. Nessuna trasparenza.
Si sapeva che era stato emanato il 2 gennaio, e solo perché citato in fonti normative, quali il decreto-legge del 14 gennaio (n. 2), nonché nel suddetto bando per i padiglioni. In altri termini, l’atto esisteva perché altri atti lo richiamavano, ma nessuno l’aveva visto. Si sapeva pure che era stato sottoposto alla valutazione della Corte dei Conti, ma senza visto e registrazione non poteva essere reso pubblico sulla Gazzetta Ufficiale.
Ciò non aveva, tuttavia, impedito che fosse formalmente citato in altri provvedimenti in Gazzetta. Ennesimo modo singolare di intendere le fonti giuridiche.
Il decreto è stato pubblicato il 28 gennaio, ma si limita a recepire il generico Piano vaccinale di dicembre, con aggiornamenti sulle consegne dei vaccini.
Peraltro, c’è un piccolo giallo: nel disciplinare del bando dei padiglioni si richiama il “paragrafo 9” del Piano vaccinale, che però nel Piano non esiste. Esiste forse un altro Piano, che Arcuri conosce? Opacità, come sempre.
Quanto maggiore è la discrezionalità delle scelte pubbliche, tanto maggiore dovrebbe essere la trasparenza dei decisori. I fatti dimostrano che ne siamo ben lontani.
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