Il governo Meloni fa danni molto più seri dei writer che sfregiano la Galleria di Milano, e per motivi non più nobili dei loro. Ecco perché la tassa sugli extraprofitti è un grave errore
Giorgia Meloni e Matteo Salvini non meritano certo l'accostamento a Giovanni Giolitti, di cui li gratifica Roberto Saviano; il loro non sarà forse il governo della malavita, ma dei vandali lo è di certo. Essi faranno danni molto più seri dei writer che sfregiano la Galleria di Milano, e per motivi non più nobili dei loro. Se gli uni danno sfogo alla loro nociva creatività, gli altri si nutrono di un sostegno costruito sul populismo qualunquistico; in entrambe i casi pagherà purtroppo il paese.
La tassa sugli extra profitti delle banche sembra un giusto aiuto a chi è in difficoltà, a spese delle banche, “dove ci sono i soldi” (che non sono loro, bensì dei depositanti). È invece un grave errore, a partire dai modi. Non si annuncia un decreto di tale portata la sera, sia pur a mercati chiusi (in Italia, non nel mondo), senza diffonderne il testo, e in assenza del ministro competente. Così l'indomani la borsa, non potendo fare i conti, è crollata.
Ciò non sarebbe di per sé un male, se il Dl avesse senso compiuto e rispondesse al pubblico interesse, non a quello di una coalizione che, forte del 15-20 per cento dei potenziali elettori, si crede legittimata a tutto. Vedremo come va a finire, in parlamento il testo cambierà; fioccheranno forse le richieste di risarcimento alla repubblica – che a tale governo s'è affidata – per i danni legati a un Dl scritto male e in fretta. Meloni voleva qualcosa di eclatante per sviare il discorso dal salario minimo e per celare i legami con un passato che non può rinnegare senza tagliare le radici della sua storia; più che estranea, ostile alle basi stesse dell'Italia democratica.
A difesa del mercato
Salvini ha chiesto in contropartita, e ottenuto, un provvedimento-bandiera da intestarsi. Il dispregio per le autorità indipendenti fa pensare che Banca d'Italia sia stata tenuta fuori; nel mirino c'è anche l'Antitrust che vuol mettere sotto la lente i tassisti. Perciò il governo vuole spiazzarla; non riduce i sovraprofitti con la concorrenza, cui è allergico, ma vara di fretta un provvedimento sui taxi mentre fissa i prezzi dei biglietti aerei (non dei traghetti) per le isole.
Almeno la Consob dovrebbe muoversi a difesa del mercato, sfregiato più della Galleria, prima richiamando il governo – lo fece in altre stagioni – a rispettare le norme, poi indagando su chi ha guadagnato dalla vendita di titoli bancari, o trafficato in opzioni, nell'imminenza dell'annuncio.
Poi c'è il merito. Per anni le banche han subìto i tassi a zero; ora tirano il fiato, ma il mercato le valuta ancora solo metà del patrimonio. Martedì Alessandro Penati qui e Francesco Giavazzi sul Corriere criticavano le distorsioni del Dl: tassa l'aumento dei margini d'interesse, non gli utili lordi.
Il corporativismo
Sfuggono così alla tassa le commissioni; ne profitta la banca che vende prodotti studiati spesso a proprio profitto ma a danno dei clienti. Il rialzo dei tassi comporta perdite su titoli acquistati e crediti concessi; soffrirà la banca che rischia facendo credito.
Restano esenti i maxi utili del private banking, legati alle commissioni, e in minima parte al margine d'interesse e riflessi nelle semestrali ora approvate; logicamente il mercato li valuta oltre il doppio del patrimonio. Come saranno trattati i fondi erogatori di credito senza licenza bancaria?
Altro che competenti, la visione della società del governo è il corporativismo, come nel ventennio. Agnellini con tassisti e balneari, fanno i leoni sulle banche, che per la sopratassa stringeranno i crediti, a danno del Pil. Se è scontata l'adesione del M5s, sia cauto il Pd. Per la strada il Dl cambierà, ma al governo ci sono i dilettanti; lasci che si avviluppino nella loro rete.
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