- Sarebbe ingenuo sorprendersi delle uscite di Giorgia Meloni e Matteo Salvini su tasse ed evasione fiscale. Attenzione: quando la premier usa parole mafiose per giustificare chi non paga il dovuto all’erario («pizzo di stato») l’indignazione è una reazione appropriata.
- Così come naturale sdegno provocano gli ammiccamenti del segretario della Lega ai predoni che si rifiutano di saldare le cartelle esattoriali dovute all’Agenzia delle entrate.
- Alla stizza, però, va aggiunta una riflessione sulla base elettorale della destra di governo. E sulle sue strategie per gestire il consenso.
Sarebbe ingenuo sorprendersi delle uscite di Giorgia Meloni e Matteo Salvini su tasse ed evasione fiscale. Attenzione: quando la premier usa parole mafiose per giustificare chi non paga il dovuto all’erario («pizzo di stato») l’indignazione è una reazione appropriata. Così come naturale sdegno provocano gli ammiccamenti del segretario della Lega ai predoni che si rifiutano di saldare le cartelle esattoriali dovute all’Agenzia delle entrate.
Alla stizza, però, va aggiunta una riflessione sulla base elettorale della destra di governo. E sulle sue strategie per gestire il consenso. Meloni ha vinto le elezioni firmando un patto esplicito con l’elettorato di riferimento, fondato su due pilastri fondamentali. Uno securitario (contro i migranti in primis) e uno, in campo economico, incentrato sulla flat tax in varie salse, l’eliminazione del reddito di cittadinanza e laissez-faire per le categorie di riferimento. Arrivata a palazzo Chigi, la destra nero-verde non riesce però a tagliare le tasse come promesso. Dunque alliscia il suo popolo come può.
Con dichiarazioni che piacciono a lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e professionisti (secondo gli ultimi dati del Mef è la loro evasione a pesare maggiormente sul mancato gettito); e attraverso lo scudo politico concesso alle partite iva, i cui comportamenti abusivi vengono tollerati per puro tornaconto elettorale. Il patto della destra con l’Italia peggiore è poi incentrato su un’altra contraddizione. Anche gli operai e gli impiegati che subiscono sulla propria pelle gli effetti nefasti dell’evasione lo scorso settembre hanno infatti votato in massa il partito di Meloni. Com’è possibile che persino gli insegnanti delle scuole che guadagnano in media la miseria di 1.600 euro al mese, salario tra i più bassi d’Europa, premino – secondo Ipsos – una coalizione che non protegge loro, ma corporazioni (quella dei tassisti, per fare un esempio di attualità) che incassano senza versare i tributi e danneggiando la collettività?
La risposta è nell’altra parte dell’offerta politica di Lega e Fratelli d’Italia. Incentrata sulla propaganda che ha convinto i ceti meno abbienti, quelli che un tempo votavano a sinistra, che le disuguaglianze economiche non sono colpa di una cattiva distribuzione delle ricchezze tra chi ha di più e chi di meno. Ma è dovuta alla concorrenza di stranieri e migranti che delinquono, e che «rubano il lavoro agli italiani».
Un disegno che al fine provoca un conflitto sociale tra deboli, e che consente alla destra di sviare l’attenzione dalla vera sperequazione in atto. Quella, cioè, che vede ricchi sempre più ricchi pagare meno tasse di quello che dovrebbero, e poveri sempre più poveri che si fanno la guerra tra loro per un osso. Quando le opposizioni progressiste concentreranno ogni sforzo per svelare questo imbroglio di successo, non sarà mai troppo presto.
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