Al di là dei probabili comportamenti opportunistici dei fornitori, nella vicenda dei vaccini l’UE paga la mancanza di programmazione e di una politica comune della salute.
Tuttavia, nella migliore delle ipotesi, a fine 2021 sarà vaccinato il 50% della popolazione dei paesi del G7 e meno del 20% della popolazione mondiale. Di fronte a ritardi che le aziende non hanno interesse a ridurre, occorre che la mano pubblica intervenga nella produzione come si è impegnata nello sviluppo.
I brevetti andrebbero sospesi temporaneamente, e la tecnologia di produzione resa disponibile a tutti i produttori in possesso delle necessarie competenze.
La vicenda dei ritardi nelle forniture dei vaccini ha evidenziato errori e leggerezze da parte di chi in Europa ha negoziato, per conto degli Stati membri, i contratti di fornitura. La scelta di negoziare per tutti è stata sacrosanta, non osiamo nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se i paesi europei si fossero fatti la guerra per accaparrarsi i pochi vaccini disponibili.
Inoltre, non si sa ancora se i ritardi sono dovuti ad errori negoziali o a comportamenti furbeschi dei fornitori. Tuttavia, l’intero processo è stato caratterizzato da un misto di sfortuna, eccesso di prudenza e scarsa lungimiranza. L’Ue ha scommesso su più fornitori e soffre oggi dei ritardi di alcuni di essi.
Stati Uniti e Regno Unito hanno puntato da subito alle tecnologie mRNA e fin da luglio hanno chiuso contratti di fornitura per i quali l’Ue si è mossa solo in novembre Questi paesi hanno speso cifre ingenti (circa sette volte superiori alle nostre) per finanziare gli aumenti di capacità produttiva e le reti logistiche di Pfizer e Moderna, come già era stato fatto per la produzione di massa della penicillina durante la Seconda guerra mondiale.
Insomma, al di là dei probabili comportamenti opportunistici dei fornitori, oggi l’Ue sembra pagare la mancanza di programmazione e di una politica comune della salute.
Una capacità produttiva insufficiente
Ma la corsa al vaccino in realtà evidenzia problemi ben maggiori. Per debellare il Covid occorrerebbero circa 10 miliardi di dosi a livello globale. I tre principali produttori, anche astraendo dalle difficoltà attuali, non potranno andare oltre i 5 miliardi. Nella migliore delle ipotesi, a fine 2021 sarà vaccinato il 50 per cento della popolazione dei paesi del G7 e meno del 20 per cento della popolazione mondiale.
Per queste aziende un significativo aumento della capacità produttiva non è ottimale: una volta rapidamente soddisfatta la domanda, la capacità in eccesso rimarrebbe inutilizzata e i profitti sarebbero ben inferiori a quelli che si otterranno ai ritmi attuali.
Non è da loro, quindi, che ci potremo aspettare lo sforzo necessario per raggiungere in tempi brevi l’immunità di gregge. Come non è dalla benevolenza delle case farmaceutiche che ci possiamo attendere la cooperazione necessaria alla diffusione di informazioni e tecnologie.
Un programma dell’Oms (C-Tap) per la condivisione di pratiche e informazioni protette da brevetto (diagnostica, cure e informazioni sullo sviluppo dei vaccini), lanciato a maggio non ha finora raccolto contributi. I (legittimi) incentivi privati non sono allineati con la necessità pubblica di metter fine alla pandemia.
La mano pubblica
La mano pubblica è stata fondamentale per lo sviluppo dei vaccini. Lo sforzo titanico di molti laboratori ha certo consentito di bruciare i tempi e ottenere vaccini in tempi rapidissimi. Ma questo è stato reso possibile dai miliardi di dollari pubblici che sono andati a finanziare parte della ricerca, i preordini di miliardi di dosi, finanziamenti per l’ampliamento della capacità produttiva e via di seguito.
Senza questo colossale sostegno probabilmente i laboratori farmaceutici non si sarebbero lanciati nella corsa ai vaccini, che non sempre danno garanzie di profitti sufficienti.
Con buona pace dei denigratori nostrani dello Stato imprenditore (per fortuna tanto rumorosi quanto poco influenti), lo sviluppo dei vaccini per il Covid è l’ennesima dimostrazione che l’innovazione è il prodotto di un ecosistema pubblico-privato che coinvolge imprese e università, dipende da finanziamenti pubblici e privati (e anche in modo crescente dal terzo settore), da norme su brevetti e diritti di proprietà e da commesse pubbliche.
Questo è vero in tempi normali e ancora di più in tempi di crisi, quando velocità di attuazione, coordinamento, necessità di differenziare l’investimento, diventano ingredienti fondamentali del successo.
Di fronte a ritardi che le aziende non hanno nessun interesse a ridurre, occorre che la mano pubblica si impegni nella produzione e distribuzione come si è impegnata nella ricerca e nello sviluppo.
La prima opzione è incentivare l’aumento della produzione con ulteriori sussidi o premi per le consegne anticipate, o favorire accordi come quello tra Pfizer e Sanofi, che produrrà 125 milioni di dosi del concorrente in attesa di commercializzare il proprio vaccino. È tuttavia improbabile che semplici incentivi siano sufficienti.
Una sospensione temporanea dei brevetti
Fin dall’inizio della pandemia si è usata la metafora della “guerra”. In guerra la priorità è la produzione di massa dei beni necessari a vincere il conflitto. A Ottobre Sud Africa e India hanno inoltrato all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) la proposta di sospendere, nel quadro dell’accordo sulla protezione dei diritti intellettuali (Trips), brevetti, segreti commerciali e diritti di monopolio per i vaccini Covid. La proposta, perorata anche su New York Times e Financial Times, richiede l’unanimità all’Omc per passare; essa è appoggiata da circa 100 paesi ma vede per il momento l’opposizione di tutte le grandi economie, compresa l’Ue. Essa dovrebbe invece essere adottata quanto prima.
I brevetti sarebbero sospesi temporaneamente, e la tecnologia di produzione resa disponibile a tutti i produttori in possesso delle necessarie competenze, anche nei paesi in via di sviluppo. A questi, come ai detentori dei brevetti temporaneamente sospesi, verrebbero assicurati equi profitti, in modo da non disincentivare la futura attività di ricerca e innovazione che così efficace è stata negli scorsi mesi.
Negli anni Novanta il settore bancario svedese fu temporaneamente nazionalizzato in occasione di una crisi finanziaria senza precedenti. Lungi dall’essere un arbitrio dirigista questo garantì un riallineamento degli interessi privati con l’interesse collettivo, minimizzò il costo per il contribuente dei salvataggi bancari e pose le basi per una ripresa più rapida del settore finanziario.
Purtroppo, di quell’esperienza non si fece tesoro durante la crisi finanziaria globale.
Oggi siamo in una situazione analoga; la temporanea sospensione dei diritti di proprietà sui vaccini per il Covid, non danneggerebbe il settore farmaceutico; potrebbe anzi essere uno snodo cruciale per garantire la diffusione di tecnologie innovative, debellare la pandemia, rilanciare la crescita globale.
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