- Roberto Gualtieri, in corsa per il Campidoglio per il Pd, chiama in appoggio la solita lista civica e la fa guidare a una imprenditrice, Monica Lucarelli, ex presidente dei giovani della Confindustria romana.
- Alle politiche 2008 il Pd candidò il big della Confindustria Massimo Calearo. Per il leader Walter Veltroni quella scelta incarnava il “patto fra produttori e lavoratori” e il rifiuto della “lotta di classe contro i padroni”.
- Ma mentre il Pd dismetteva la rappresentanza dei lavoratori, i padroni non hanno smesso di fare la lotta di classe. Con la delega a esponenti confindustriali della difesa dei lavoratori il Pd si sta suicidando.
Fa bene il leader del Pd Enrico Letta a correre senza il simbolo del suo partito alle suppletive di Siena. Forse se ne vergogna, come il predecessore Nicola Zingaretti. Sicuramente prende atto che il marchio è povero di valenza politica. Lo ha fatto anche l’ex ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, in corsa per il Campidoglio per il Pd.
Chiama in appoggio la solita lista civica e la fa guidare a una imprenditrice, Monica Lucarelli, ex presidente dei giovani della Confindustria romana, ex presidente della fondazione “Insieme per Roma” che fiancheggiava il sindaco neofascista Gianni Alemanno, in lista insieme a Carlo Calenda alle politiche 2013 per Scelta civica di Mario Monti, impegnata nel comitato promotore per le Olimpiadi Roma 2024 fermate da Virginia Raggi appena eletta sindaca.
L’ha chiamata Gualtieri in persona e «abbiamo parlato subito di contenuti, per questo non ha avuto bisogno di convincermi». I contenuti sarebbero buoni per qualsiasi partito: «Trasformazione digitale, rapporto con il territorio, parità di genere/rappresentanza e sostegno alla disabilità». Manca lo sviluppo sostenibile, sarà di sicuro un lapsus.
Viene da chiedersi dove stia la politica in queste competizioni per i grandi comuni, a metà strada tra un concorso di marketing e le Olimpiadi degli amministratori di condominio. Il problema è grave per il Pd, nato per governare (a “vocazione maggioritaria”) il paese e quindi chiamato a offrire agli elettori una visione, appunto, politica.
Il vero atto fondativo del Pd è la candidatura alle politiche 2008 di un big della Confindustria come Massimo Calearo. Per il fondatore Walter Veltroni quella scelta incarnava il “patto fra produttori e lavoratori” e l'inorridito rifiuto della “lotta di classe contro i padroni”. Veltroni teorizzava: «Esiste una comunanza di destino fra gli imprenditori e i lavoratori, e questa cosa agli operai appare molto chiara».
Da dieci anni il Pd è fermo lì. La comunanza di destino è alla base della dottrina sociale della Chiesa e ha un corollario politico obbligato: tutti devono volersi bene. Solo che la Chiesa da sempre lo brandisce equamente (e anche ipocritamente) contro i poveri se scalciano e contro l'irresponsabile egoismo dei padroni.
Per il Pd il corollario implicito è invece che i lavoratori devono voler bene al padrone ed essergli grati per i posti di lavoro che crea. Che cosa distingua questa filosofia da quella berlusconiana non è risultato molto chiaro agli operai, con buona pace di Veltroni. Sentendosi abbandonati, hanno smesso di votare oppure si sono messi a votare a destra.
Fatto sta che mentre il Pd dismetteva la rappresentanza dei lavoratori, raccontando che loro e i loro padroni sono sulla stessa barca, i padroni non hanno smesso di fare la lotta di classe, ottenendo un’imponente sottrazione del reddito salariale.
La pandemia ha solo acuito e squadernato il tema: la crescita delle diseguaglianze non è solo un problema etico o estetico, come si pensa nei centri storici evoluti, ma rende insostenibile questo sistema economico. Forse il capitalismo si sta impiccando all'ideologia dell'avidità come motore del progresso, sicuramente il Pd si sta suicidando con la delega a esponenti confindustriali della difesa dei lavoratori.
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