In Italia, l’accesso alla facoltà di medicina non è libero; a partire da 1999 soltanto un numero limitato di posti è messo a disposizione dalle università (numero programmato o numero chiuso). Le studentesse e gli studenti che desiderano iscriversi alla facoltà di medicina devono superare un esame di ammissione che dovrebbe valutare le capacità critiche e analitiche dei candidati.
Solo una piccola percentuale (20 per cento) di coloro che fanno domanda (numero) è ammessa ogni anno con comprensibile delusione e frustrazione dei candidati e dei loro familiari, che spesso hanno investito tempo e risorse economiche per il superamento del test di ammissione.
Non sorprende quindi come questa procedura sia stata stato oggetto di numerose critiche che hanno interessato a volte i contenuti della prova di ammissione – i cosiddetti test considerati non idonei –, a volte la legittimità della prova stessa in quanto in contrasto con il diritto allo studio.
Le difficoltà in cui versa in questo momento il sistema sanitario italiano hanno riacceso il dibattito sul numero programmato di Medicina trovando numerosi ed entusiasti sostenitori negli opposti schieramenti di destra e sinistra che propongono la sua eliminazione. Il numero chiuso a medicina non è una peculiarità italiana: tutti gli Stati europei con piccole differenze di metodo lo hanno adottato.
La ragione di questa scelta dipende da due fattori:
- il numero dei medici impiegabili da un qualsiasi sistema sanitario è necessariamente determinato dal numero di abitanti, età media della popolazione e dalle patologie prevalenti e non può aumentare in funzione del numero dei medici disponibili senza comprometterne la sostenibilità economica del servizio sanitario stesso;
- il costo sostenuto dallo Stato per formare un medico è molto elevato. Lo Stato italiano spende, a studente, 150mila euro per il corso di laurea e circa 170mila per la specializzazione, per un totale di circa 1,5 miliardi di euro all’anno. È evidente che l’ottimizzazione delle risorse può essere raggiunta cercando di far combaciare la necessità di personale medico con l’offerta formativa (numero programmato o chiuso). Formare medici che non troveranno lavoro adeguato alle loro competenze equivale a sprecare risorse che nessuno stato può permettersi.
Il vero imbuto
Uno degli argomenti utilizzati dai fautori dell’abolizione del numero chiuso è che risolverebbe la carenza di medici del servizio sanitario italiano. Faccio fatica a comprenderne le ragioni. Il numero dei medici in Italia per numero abitanti è in linea con la media europea e superiore a quello di Stati come la Francia.
È vero che molti dei medici ora in servizio andranno in pensione nei prossimi anni, ma sarà un deficit transitorio compensato rapidamente dai medici in formazione e sicuramente non risolvibile con l’abolizione del numero chiuso i cui effetti saranno visibili solo tra nove anni (sei di corso di laurea e tre-quattro di specializzazione).
Semmai, il problema è l’imbuto formativo che si crea dopo la laurea. Oggi solo due medici su tre trovano posto in una scuola di specializzazione e completano il percorso formativo. Una situazione che induce molti laureati a recarsi all’estero.
Le disuguaglianze
Altri argomentano che il numero chiuso sia in conflitto con il diritto allo studio o che crei diseguaglianze sociali. Invece di diritto parlerei di desiderio del singolo a intraprendere la facoltà di Medicina e questo non può prevalere contro il diritto, questo sì, dei contribuenti a non sprecare le risorse limitate destinate alla formazione dei medici e al funzionamento del servizio sanitario nazionale.
Non esiste soltanto la facoltà di Medicina: la nostra società offre numerosissime alternative che assicurano il diritto allo studio.
Diverso è il problema dell’impatto del test di ammissione sulla creazione di diseguaglianze sociali. Ora, è indubbio che le studentesse e gli studenti provenienti da famiglie non in grado di offrire supporto economico, sociale e culturale partano da una posizione svantaggiata.
A questo proposito verrei sollecitare i partiti della sinistra a impegnarsi per introdurre un fattore di correzione al risultato del test che tenesse conto dell’ISE familiare per riequilibrare differenze sociali ed economiche. In alternativa, garantire che un numero predeterminato di posti sia assicurato a candidati con ISE basso.
I costi
Vorrei infine invitare a uno sforzo di immaginazione: la facoltà di medicina senza numero chiuso. I posti disponibili previsti dal Mur per il 2023-2024 sono 18.248 per i candidati dei Paesi UE e non UE residenti in Italia, e 1.296 per i candidati dei paesi non UE residenti all’estero.
Nel 2022 invece erano 14.020 per cittadini europei e 1.077 per non Eu. A fronte di una media di circa 65mila domande all’anno. In assenza di numero chiuso ci dovremmo quindi aspettare circa 65mila immatricolazioni all’anno 3 volte più numerose di quelle attuali (che moltiplicato per 6 anni si traduce in un carico aggiuntivo di 270.000 studenti a regime) a fronte di strutture e personale totalmente inappropriato ad assicurare una formazione adeguata.
Numero stimato per difetto perché a questo punto non si potrebbe rifiutare l’ingresso a tutti gli studenti europei non ammessi alle rispettive facoltà di medicina.
Il costo per i contribuenti nelle stime più prudenti aumenterebbe da 1,5 a 5 miliardi di euro all’anno. Ma non è solo un problema di soldi. Il peggio verrà quando questi studenti arriveranno al terzo anno, ovvero quando dovranno entrare in contatto con i pazienti nei reparti di medicina e chirurgia.
Difficilmente questi studenti potranno vedere dei malati. Ricordiamo che in Italia i posti letto negli ultimi sono drasticamente diminuiti passando da 268mila nel 2000 a 190mila nel 2020 (dati Eurostat). Difficile calcolare il costo per l’adeguamento delle strutture didattiche e cliniche, ma sicuramente ingente.
Io ho fatto medicina quando non c’era il numero chiuso, lo ricordo come un incubo; ogni giorno era una lotta per trovate un posto a sedere in aula; file e attese per ogni pratica; turni di pochi minuti per vedere e visitare un malato; contatti con i docenti inesistenti. Non augurerei questa esperienza a nessuno.
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