La premier nella sua azione di politica estera europea e internazionale vanta successi, ma gli esiti ottenuti dal Governo su alcuni dossier esterni strategici per l’Italia dicono il contrario. Per fare gli interessi del nostro Paese servono i risultati, il resto è propaganda
«Doppio peso e doppia misura / sono due cose che il Signore abborrisce», Proverbi (20,10). Dopo 14 mesi di Governo Meloni ci sembra opportuno adattare questa massima biblica ai tempi di Instagram: doppia foto e doppia misura. Tradotto, c’è selfie e selfie.
Così sembra far credere Giorgia Meloni, soprattutto nella sua azione in politica estera per cui il suo selfie con Narendra Modi è un modo di dimostrare i propri rapporti internazionali, mentre Draghi, sul treno per Kyiv, «si faceva foto con Francia e Germania quando non portava a casa niente».
Stesso discorso per l’atteggiamento in Europa: la Premier difende il nostro interesse nazionale, mentre i suoi predecessori erano «subalterni» perché il loro scopo era «compiacere i partner europei», leggiamo nel programma elettorale di Fratelli d’Italia. Vale la pena analizzare, attraverso alcuni scatti simbolici, se sia proprio così, valutando i risultati ottenuti dal Governo su alcuni dossier esterni strategici per l’Italia.
L’ossimoro sovranista
Prima foto: Varsavia, 5 luglio 2023, Giorgia Meloni accanto a Mateusz Morawiecki (premier di allora). Il bilaterale è il tentativo italiano di trovare una mediazione dopo che Ungheria e Polonia avevano messo il veto sulla riforma del sistema europeo di migrazione e asilo.
La conferenza stampa dei due è la dimostrazione di quanto l’internazionale sovranista sia un ossimoro: da un lato Morawiecki che ribadiva le ragioni del no in nome della sovranità polacca, dall’altro Meloni che, nonostante il palese imbarazzo, esprimeva «ammirazione» per la forza con cui il suo interlocutore difendeva il proprio interesse nazionale. Poco importa se, così facendo, quello italiano veniva danneggiato.
«Ammirazione»; una curiosa scelta linguistica, che fa pensare a chi, anziché far valere i propri interessi, vuole «compiacere i partner europei.» Il risultato? Il viaggio a Varsavia è stato inutile: il pacchetto sull’immigrazione è avanzato solo rinunciando all’assenso di Polonia e Ungheria.
Infine, l’intesa è arrivata grazie alla spinta tedesca, non certo per l’azione del nostro esecutivo che dovrà gestire un accordo che non introduce una redistribuzione obbligatoria ma prevede più oneri, meno solidarietà per i paesi di primo approdo e meno diritti per i richiedenti asilo.
Marketing politico
Secondo scatto: Roma, 16 dicembre 2023, Giorgia Meloni con il Premier albanese Edi Rama e il britannico Rishi Sunak: sono i paesi che vogliono guidare le nuove politiche dell’immigrazione basate sull’esternalizzazione delle procedure per i richiedenti asilo.
È uno dei cavalli di battaglia di Meloni per dimostrare all’opinione pubblica che sull’immigrazione «è finita la pacchia» e, con essa, gli sbarchi. Il risultato? Come per il piano britannico, bloccato dalla Corte Suprema, anche quello italiano subisce lo stop della Corte costituzionale di Tirana.
Non è finita; c’è la sostanziale inutilità di un accordo che, nella migliore delle ipotesi (comunque improbabile), consentirebbe di occuparsi di poco più di 8.500 persone ogni anno, quando gli arrivi del 2023 in Italia sono a quota 153mila migranti.
È lo stesso Rama ad ammettere che si tratta solo di marketing politico: «A Giorgia ho spiegato che noi non possiamo essere la soluzione al problema perché possiamo accogliere un numero limitato di persone. Tutto sarà a carico dell’Italia». Un «tutto» stimato in 300 milioni di euro di soldi pubblici.
Servono i risultati
Terza immagine: Bruxelles, notte del 14 dicembre 2023, Giorgia Meloni, Emmanuel Macron e Olaf Scholz insieme, prima dell’ultimo Consiglio europeo dove si è parlato anche della riforma del Patto di Stabilità su cui l’Italia si gioca l’osso del collo visto l’elevatissimo debito pubblico. Anche Giorgia Meloni, come Mario Draghi, ha finalmente la sua foto con Macron e Scholz, ma questa rischia di essere in netta antitesi rispetto a quella del suo predecessore.
Se Draghi scese dal treno a Kyiv incassando il sì di Scholz sull’aprire le porte d’Europa all’Ucraina, l’immagine nell’hotel belga resterà nella storia come il fallimento di Meloni nell’ottenere nuove regole di bilancio a misura dell’Italia.
Il nuovo Patto, infatti, è stato deciso in una videochiamata tra i ministri delle finanze di Francia e Germania, con la benedizione della Spagna. L’Italia non c’era. Il risultato? Basta vedere la grande soddisfazione degli olandesi per valutarlo.
Per fare una foto basta un clic, per fare gli interessi del nostro Paese servono i risultati. E sono questi che non si vedono. Tutto il resto è propaganda.
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