- Ricevono il reddito di cittadinanza (rdC) 1,1 milioni di famiglie in Italia mentre il reddito d’inclusione (rei), introdotto nel 2017 dal centro-sinistra, era arrivato a 350mila.
- Inps e ministero del Welfare raccolgono un’enorme mole di dati sulla misura che permetterebbero di capire molto su possibili irregolarità e tanti altri aspetti. Ma non vengono resi noti.
- Discutere la possibilità di una riforma del Reddito di cittadinanza significa andare al cuore della contrapposizione tra populisti e riformisti.
Ricevono il reddito di cittadinanza (rdC) 1,1 milioni di famiglie in Italia mentre il reddito d’inclusione (rei), introdotto nel 2017 dal centro-sinistra, era arrivato a 350mila. Dunque, la precedente misura contro la povertà raggiungeva meno di un terzo dei nuclei di quella attuale. Il finanziamento pubblico per il rei era insufficiente e con il rdc ci si è avvicinati alla media europea di spesa dedicata.
Tuttavia, l’importanza avuta dal rdc nel proteggere molte famiglie davanti agli sconvolgimenti prodotti dal Covid-19 viene ingiustamente sottovalutata.
L’impropria fruizione del rdc da parte dei giovani accusati dell’omicidio di Willy Monteiro ad Artena ha acceso un’aspra polemica sui falsi poveri che ne fruirebbero. In tutti i paesi si verificano frodi: ciò che conta è la capacità di contenerle.
Sarebbe, quindi, cruciale esaminare il rdc da questo punto di vista ma non abbiamo i dati necessari.
Inps e ministero del Welfare raccolgono un’enorme mole di dati sulla misura che permetterebbero di capire molto su possibili irregolarità e tanti altri aspetti. Ma non vengono resi noti. La qualità della democrazia che dipende dalla possibilità di sottoporre a controllo le azioni di chi esercita il potere. Ma se questo non divulga le informazioni di cui dispone, ogni tentativo di verifica è spuntato in partenza.
Insieme a quella sui falsi poveri, l’altra critica portata in questi giorni al rdc consiste nel far trovare un lavoro a troppo pochi beneficiari. In effetti, i dati dell’Anpal riferiti all’epoca pre-Covid confermano questo punto.
La domanda cruciale
Qui bisogna intendersi: a cosa servono le politiche contro la povertà? Come dice il nome stesso, hanno l’obiettivo di contrastare la povertà nelle sue molteplici sfaccettature (economiche, relazionali, familiari, lavorative, psicologiche, abitative e così via) e non tanto di incrementare direttamente l’occupazione.
Spesso riescono ad agire sulle competenze dei numerosi utenti a bassa occupabilità per migliorarle progressivamente, ma solo in alcuni casi i beneficiari vengono reintrodotti nel mondo del lavoro. Negli altri paesi europei – mediamente con minore disoccupazione e centri per l’impiego più strutturati rispetto all’Italia – tali politiche riescono a condurre a un’occupazione stabile il 25 per cento dei beneficiari.
L’errore non è dunque nel rdc bensì nella retorica che ne ha accompagnato l’introduzione: il Movimento cinque stelle lo ha promosso innanzitutto come una misura di inserimento occupazionale, suscitando aspettative irrealistiche col risultato di spianare la strada a chi oggi vuole delegittimare le politiche contro la povertà.
La questione vera, invece, riguarda la capacità del reddito di cittadinanza di sostenere al meglio i poveri.
Il dibattito tecnico è sostanzialmente unanime nel giudicarne positivamente il finanziamento ma anche nell’evidenziare forti criticità di disegno: la confusione tra interventi di inclusione sociale e di inserimento lavorativo; il vantaggio immotivato per le famiglie piccole (in particolare di uno e due componenti) rispetto a quelle più numerose, sia nella possibilità di ricevere la misura sia negli importi erogati; la discriminazione nei confronti dei cittadini non appartenenti all’Unione europea, che possono ricevere il rdc solo se in Italia da almeno dieci anni; il modello organizzativo farraginoso e complicato, a partire dalla relazione tra comuni e centri per l’impiego.
Un’agenda condivisa di riforma esiste già e c’è una concordanza di vedute nel ritenere che il rei fosse meglio disegnato ma sotto-finanziato. Raramente si è riscontrata tra i tecnici una simile uniformità di giudizio su una politica pubblica. La domanda, dunque, non è “come” bisognerebbe riformare il rdc ma “se” il governo intenda farlo.
Discutere la possibilità di una riforma del Reddito di cittadinanza significa andare al cuore della contrapposizione tra populisti e riformisti. I primi sanno comprendere meglio le esigenze della popolazione, ma non riescono a elaborare le risposte che servirebbero: il risultato è una misura più finanziata e peggio disegnata (rdc).
I secondi sono in grado di progettare gli interventi opportuni, ma non sanno di interpretare i bisogni sociali: l’esito è una misura meglio disegnata ma meno finanziata (rei).
Ora, però, quelle che in precedenza erano le due parti contrapposte – i riformisti del Rei e i populisti del RdC – sono partner di governo. Dalla scelta di riformare, o meno, il reddito di cittadinanza si potrà capire molto dell’anima del secondo governo Conte.
Analista di politiche di welfare, Cristiano Gori è autore del saggio appena uscito, Combattere la povertà (Laterza)
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